Risuscitati perché amati
Gesù è faccia a faccia con l'amicizia e con la morte, con l'amore e il dolore, le due forze che reggono ogni cuore; lo vediamo coinvolto fino a fremere, piangere, commuoversi, gridare come in nessun'altra pagina del Vangelo.
Di Lazzaro sappiamo solo che era fratello di Marta e Maria e che Gesù era suo amico: perché amico è un nome di Dio. Per lui l'Amico pronuncia due tra le parole più importanti del Vangelo: «Io sono la risurrezione e la vita». Non: io sarò la vita, in un domani lontano e scolorito, ma qui, adesso, al presente: io sono. Notiamo la disposizione delle due parole: prima viene la Risurrezione e poi la Vita. Noi siamo già risorti nel Signore; risorti da tutte le vite spente e immobili, risorti dal non senso e dal disamore, che sono la malattia mortale dell'uomo. Prima viene questa liberazione, e da qui una vita capace di superare la morte. Risuscitati perché amati: il vero nemico della morte non è la vita, ma l'amore, «forte come la morte è l'amore, tenace come il regno dei morti» (Cantico 8,6). Noi tutti risorgiamo perché Qualcuno ci ama, come accade a Lazzaro riconsegnato alla vita dall'amore fino alle lacrime di Gesù.
Io invidio Lazzaro, e non perché esce dalla grotta di morte, ma perché è circondato da una folla di persone che gli vogliono bene. La sua fortuna è l'amicizia, la sua santità è l'assedio dell'amore. Lazzaro, vieni fuori! e Lazzaro esce avvolto in bende come un neonato. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si spalanca davanti un'altissima speranza: Qualcuno è più forte della morte. Liberatelo e lasciatelo andare! Parole che ripete anche a ciascuno di noi: vieni fuori dal tuo piccolo angolo; liberati come si liberano le vele, come si sciolgono i nodi della paura. Liberati da ciò che ti impedisce di camminare in questo giardino che sa di primavera. E poi: lasciatelo andare: dategli una strada, orizzonti, persone da incontrare e una stella polare per un viaggio che conduca più in là. Gesù mette in fila i tre imperativi di ogni ripartenza: esci, liberati e vai! Quante volte sono morto, quante volte mi sono addormentato, mi sono chiuso in me: era finito l'olio nella lampada, era finita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta oscura dell'anima una voce diceva: non mi interessa più niente, né Dio, né amori, né altro; non vale la pena vivere. E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so da dove, non so perché. Una pietra si è smossa, è filtrato un raggio di sole, un grido di amico ha spezzato il silenzio, delle lacrime hanno bagnato le mie bende. E ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d'amore: era Dio in me, amore più forte della morte.
Padre Ermes Ronchi
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