I pericoli della ricchezza
L'episodio del "giovane ricco" che la liturgia ci offre oggi nella versione di Marco (''Un tale", lo chiama lui) si apre sotto i migliori auspici. Va da Gesù e lo interroga sulla bontà e sulla vita eterna, volendo raggiungerle con tutto il cuore. Dalla giovinezza, infatti, osserva i comandamenti. Gesù fissa lo sguardo su di lui con amore: ne è felice, perché forse ha trovato un seguace disposto ad accogliere pienamente il Regno di Dio. C'è però ancora un requisito: slegare il proprio cuore dai tesori terreni, che non serviranno più. Saranno dati ai poveri e quel "tale" sarà libero di seguire fino in fondo Gesù.
La tristezza dell'uomo lascia l'amaro in bocca anche a noi, che siamo spesso incapaci di fare scelte così radicali. Le parole seguenti di Gesù, poi, ci interpellano la coscienza e a volte ci inchiodano alle nostre responsabilità. Davvero "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio?". "E chi può essere salvato", se non per misericordia di Dio? Al di là della sobrietà a cui i cristiani sono chiamati oggi, è innegabile che Gesù mette tante volte in guardia dai pericoli della ricchezza. La bramosia di denaro tende a scacciare generosità e onestà, facendo dimenticare che Dio è il vero padrone di tutto. La ricchezza spesso si sposa con l'ingiustizia, perché trasforma la politica e il commercio in dominio e sfruttamento. Se noi mettiamo un sottile strato d'argento ad un vetro non vediamo più l'esterno, ma noi stessi: è diventato uno specchio.
Così la ricchezza tende a farci pensare unicamente a noi stessi e alla nostra cerchia, e dimentichiamo l'essenziale: l'amore e la condivisione sono il vero capitale agli occhi di Dio.
E non si consumerà mai.
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