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Il mondo ha bisogno di credenti credibili

Sei tu, o ci siamo sbagliati? Giovanni, il profeta granitico, il più grande, non capisce. Troppo diverso quel cugino di Nazaret da ciò che la gente, e lui per primo, si aspettano dal Messia. Dov’è la scure tagliente? E il fuoco per bruciare i corrotti?
Il dubbio però non toglie nulla alla grandezza di Giovanni e alla stima che Gesù ha per lui. Perché non esiste una fede che non allevi dei dubbi: io credo e dubito al tempo stesso, e Dio gode che io mi ponga e gli ponga domande. Io credo e non credo, e lui si fida. Sei tu? Ma se anche dovessi aspettare ancora, sappi che io non mi arrendo, continuerò ad attendere.
La risposta di Gesù non è una affermazione assertiva, non pronuncia un sì o un no, prendere o lasciare. Lui non ha mai indottrinato nessuno. La sua pedagogia consiste nel far nascere in ciascuno risposte libere e coinvolgenti. Infatti dice: guardate, osservate, aprite lo sguardo; ascoltate, fate attenzione, tendete l’orecchio. Rimane la vecchia realtà, eppure nasce qualcosa di nuovo; si fa strada, dentro i vecchi discorsi, una parola ancora inaudita. Dio crea storia partendo non da una legge, fosse pure la migliore, non da pratiche religiose, ma dall’ascolto del dolore della gente: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi guariscono, ritornano uomini pieni, totali.
Dio comincia dagli ultimi. È vero, è una questione di germogli. Per qualche cieco guarito, legioni d’altri sono rimasti nella notte. È una questione di lievito, un pizzico nella pasta; eppure quei piccoli segni possono bastare a farci credere che il mondo non è un malato inguaribile.
Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della terra con un pacchetto di miracoli. L’ha fatto con l’Incarnazione, perdendo se stesso in mezzo al dolore dell’uomo, intrecciando il suo respiro con il nostro. E poi ha detto: voi farete miracoli più grandi dei miei. Se vi impastate con i dolenti della terra. Io ho visto uomini e donne compiere miracoli. Molte volte e in molti modi. Li ho visti, e qualche volta ho anche pianto di gioia. La fede è fatta di due cose: di occhi che sanno vedere il sogno di Dio, e di mani operose come quelle del contadino che «aspetta il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5,7). È fatta di uno stupore, come un innamoramento per un mondo nuovo possibile, e poi di mani callose che si prendono cura di volti e nomi; lo fanno con fatica, ma «fino a che c’è fatica c’è speranza» (Lorenzo Milani).
Cosa siete andati a vedere nel deserto? Un bravo oratore? Un trascinatore di folle? No, Giovanni è uno che dice ciò che è, ed è ciò che dice; in lui messaggio e messaggero coincidono. Questo è il solo miracolo di cui la terra ha bisogno, di credenti credibili.

Padre Ermes Ronchi

San Giovanni Battista Piamarta

Aggiungi un posto a tavola 3.0

Pontinia Estate 2019

Pellegrinaggio notturno

La Settimana più importante dell’anno


Con la celebrazione della Domenica delle Palme si apre di fronte a noi una settimana speciale:

la Settimana Santa
È la settimana che ci accompagna alla Pasqua. È la settimana nella quale ripercorriamo il buio della passione e della morte, quel buio che Gesù ha attraversato per dimostrarci che Lui ha vinto il mondo.
Il modo migliore per vivere questi giorni davvero carichi di amore, che non possono e non devono lasciarci indifferenti, è quello di partecipare alla preghiera liturgica della Chiesa che, con la straordinaria ricchezza e bellezza dei segni, ci aiuta a gustare la Pasqua di Cristo.
Le celebrazioni liturgiche del ✨ Triduo Pasquale ✨ sono organizzate come un’unica grande liturgia; infatti, la Messa in Coena Domini non termina con il saluto finale: «Andate in pace», bensì in silenzio; l’azione liturgica del Venerdì Santo non comincia con l’usuale saluto e con il segno della croce e termina anch’essa senza saluto, in silenzio; infine la solenne Veglia comincia in silenzio e termina con il saluto finale. Il Triduo pasquale costituisce pertanto un’unica solennità, la più importante di tutto l’anno liturgico.
La mattina del Giovedì Santo (in molte chiese la celebrazione è anticipata al Mercoledì Santo), nella chiesa cattedrale, si celebra la Messa Crismale: tutti i sacerdoti si uniscono intorno al vescovo per rinnovare le promesse sacerdotali, per affermare di essere una cosa sola, chiamati a portare la salvezza nel nome di Gesù a tutti i fratelli. Inoltre, vengono benedetti e consacrati gli oli, che verranno utilizzati, nel corso dell’anno, per le celebrazioni dei sacramenti.
La sera del Giovedì Santo si celebra il memoriale dell’ultima Cena, nella quale il Signore: istituisce l’Eucaristia («questo è il mio corpo… questo è il mio sangue») e il sacerdozio ministeriale («fate questo in memoria di me»). Infine, ci lascia il suo comandamento: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» e il suo testamento: «Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato».
Al termine della Messa il Santissimo Sacramento viene portato solennemente al luogo della reposizione e qui, secondo un’antica tradizione, i fedeli sostano in adorazione, per rivivere più intimamente l’agonia di Gesù al Getsèmani.
Il Venerdì Santo per antichissima tradizione, non viene celebrata l’Eucaristia e in questo giorno la Chiesa, con la meditazione della Passione del suo Signore e Sposo e con l’adorazione della croce, commemora la sua origine dal fianco di Cristo, che riposa sulla croce e intercede per la salvezza del mondo. In questo giorno inizia la ✨ novena alla Divina Misericordia ✨ richiesta da Gesù a santa Faustina Kowalska che così annota nel suo Diario: «Desidero che durante questi nove giorni tu conduca le anime alla fonte della Mia Misericordia, affinché attingano forza, refrigerio e ogni grazia, di cui hanno bisogno per le difficoltà della vita e specialmente nell’ora della morte. Ogni giorno condurrai al Mio Cuore un diverso gruppo di anime e le immergerai nel mare della Mia Misericordia. E io tutte queste anime le introdurrò nella casa del Padre Mio. Lo farai in questa vita e nella vita futura. E non rifiuterò nulla a nessun’anima che condurrai alla fonte della Mia Misericordia. Ogni giorno chiederai al Padre Mio le grazie per queste anime per la Mia dolorosa Passione».
Il Sabato Santo i fedeli si stringono attorno alla Vergine Maria, donna fedele e coraggiosa, che ha continuato a credere anche dopo la morte e sepoltura del suo Figlio. Insieme a Lei vegliamo accanto al Cristo morto. Perseveriamo nella preghiera come Maria e insieme a Maria, condividendone gli stessi sentimenti, attendiamo con speranza l’alba del giorno radioso della risurrezione. Questo giorno di orante silenzio sfocia nella Veglia pasquale, durante la quale ancora una volta la Chiesa fa risuonare in tutto il mondo il medesimo annuncio, tanto antico quanto nuovo, della prima Pasqua: ✨ «Cristo Signore è risorto! Alleluia!»

Rinunciare per il Signore significa fiorire

Vi farò pescatori di uomini

La nostra vita si mette in cammino, avanza, cammina, corre dietro a un desiderio forte che nasce da una assenza o da un vuoto che chiedono di essere colmati. Che cosa mancava ai quattro pescatori del lago per convincerli ad abbandonare barche e reti e a mettersi in cammino dietro a quello sconosciuto, senza neppure domandarsi dove li avrebbe condotti?
Avevano il lavoro e la salute, una casa, una famiglia, la fede, tutto il necessario per vivere, eppure qualcosa mancava. E non era un’etica migliore, non un sistema di pensiero più evoluto. Mancava un sogno. Gesù è il custode dei sogni dell’umanità: ha sognato per tutti cieli nuovi e terra nuova.
I pescatori sapevano a memoria la mappa delle rotte del lago, del quotidiano piccolo cabotaggio tra Betsaida, Cafarnao e Magdala, dietro agli spostamenti dei pesci. Ma sentivano in sé il morso del più, il richiamo di una vita dal respiro più ampio. Gesù offre loro la mappa del mondo, anzi un altro mondo possibile; offre un’altra navigazione: quella che porta al cuore dell’umanità «vi farò pescatori di uomini», li tirerete fuori dal fondo dove credono di vivere e non vivono, li raccoglierete per la vita, e mostrerete loro che sono fatti per un altro respiro, un’altra luce, un altro orizzonte. Sarete nella vita donatori di più vita.
Gesù si rivolge per tre volte a Simone: lo pregò di scostarsi da riva: lo prega, chiede un favore, lui è il Signore che non si impone mai, non invade le vite;

Getta le reti: Simone dentro di sé forse voleva solo ritornare a riva e riposare, ma qualcosa gli fa dire: va bene, sulla tua parola getterò le reti. Che cosa spinge Pietro a fidarsi? Non ci sono discorsi sulla barca, solo sguardi, ma per Gesù guardare una persona e amarla erano la stessa cosa. Simone si sente amato.

Non temere, tu sarai: ed è il futuro che si apre; Gesù vede me oltre me, vede primavere nei nostri inverni e futuro che già germoglia.
E le reti si riempiono. Simone davanti al prodigio si sente stordito: Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore. Gesù risponde con una reazione bellissima che m’incanta: non nega questo, ma lui non si lascia impressionare dai difetti di nessuno, dentro il presente lui crea futuro. E abbandonate le barche cariche del loro piccolo tesoro, proprio nel momento in cui avrebbe più senso restare, seguono il Maestro verso un altro mare. Sono i futuri di cuore. Vanno dietro a lui e vanno verso l’uomo, quella doppia direzione che sola conduce al cuore della vita.
Chi come loro lo ha fatto, ha sperimentato che Dio riempie le reti, riempie la vita, moltiplica libertà, coraggio, fecondità, non ruba niente e dona tutto. Che rinunciare per lui è uguale a fiorire.

P. Ermes Ronchi

Il vino buono tenuto da parte

Se ci hai fatto caso, questa pagina del vangelo si sviluppa su tre dialoghi, ognuno con caratteristiche ed elementi diversi. La festa di nozze è motivata dalla gioia per il consolidamento di un’unione tra due persone nell’amore reciproco: se non c’è dialogo, confronto, accoglienza e rispetto l’unione è solo sulla carta, ma non è vita. Il dialogo diventa il costruttore di relazione, strumento di conoscenza e aiuto, il dialogo salva la gioia della festa di nozze.

Non hanno vino

Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora.

Il primo dialogo è quello tra Maria e Gesù, invitati alle nozze. Possiamo facilmente immaginare come una mamma sia attenta ai dettagli: mentre tutti festeggiano e brindano, lei guarda gli inservienti, vede chi va e viene dalla cucina alla tavola degli invitati, guarda chi è affaccendato nella preparazione dei pasti, e in questo essere maternamente attenta ai retroscena, che sfuggono ai più, Maria nota che il vino è finito. Anche per noi oggi una festa senza vino è una festa a metà, ma ai tempi del fatto, nella cultura ebraica, una festa di nozze senza vino era un fallimento totale: il vino garantisce la gioia degli invitati e la riuscita della festa.

Non hanno vino: è finito, gli invitati gustano gli ultimi sorsi, dopodiché la festa avrà fine. Quella di Maria non è una domanda, non è una richiesta: è una semplice constatazione che dice attenzione e preoccupazione. Maria sente il bisogno di comunicarlo al figlio, come un dato di fatto, senza pensarci troppo. La risposta ha dato origine a disquisizioni teologiche senza fine, contrapponendo madre e figlio, leggendo la risposta di Gesù come una mancanza di rispetto, ecc. Cercando la via della semplicità, Gesù dice che è appena all’inizio della sua opera, e il compimento del suo tempo è ancora lontano. Non me ne vogliano teologi e biblisti, ma leggo così la risposta di Gesù: “Mamma, stai tranquilla.”

Qualsiasi cosa vi dica, fatela.
Riempite d’acqua le anfore.

Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto

Questo secondo è un dialogo tra Maria, Gesù e i servi, un dialogo a senso unico, dove non ci sono risposte ma solo indicazioni e conseguenze. Maria esorta i servi alla piena fiducia, la stessa fiducia alla quale Gesù l’ha invitata poc’anzi . Maria, colei che ha creduto, trasmette ai servi il suo “Eccomi” invitando loro a indossare il grembiule della disponibilità senza se e senza ma.

All’esortazione della madre segue l’ordine del Figlio, un ordine razionalmente assurdo: se manca il vino cosa te ne fai dell’acqua? Eppure i servi rimangono ancorati alle parole della madre: “qualsiasi cosa vi dica fatela”, non discutetela, ma fatela, concretamente. I servi infatti non rispondono con le parole, ma coi fatti: accolgono in se stessi l’esortazione ed eseguono l’ordine impartito, senza fiatare. Le anfore sono piene di acqua, ed ecco giunge un altro ordine, ancora più irrazionale del primo: “prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”: se io fossi stato uno di quei servi avrei riempito le anfore, ma portare a tavola quell’acqua è davvero troppo!

La sfida che mi lancia Gesù è proprio quella di essere commensale col mio nulla, con la mia pochezza. Dio chiede di riconciliarmi con me stesso, per poter essere dono di gioia e di condivisione. Ecco il miracolo! Le nozze, l’unione tra me e me stesso salvano la festa e la convivialità con Dio e con gli altri. La guerra che hai scatenato dentro di te, cercando di sconfiggere chissà quale nemico, ha esaurito il vino della gioia e della pace. Ora è inutile andare a elemosinare gioia e serenità fuori di te: abbi il coraggio di sederti a tavola e fare i conti con te stesso, offri ciò che sei, non ciò che vorresti essere, sii la gioia di Dio per il fatto stesso che respiri, sii il suo tutto, vivi il sì di Maria e porta a tavola l’acqua limpida della tua vita che si fida e si affida.

Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora

Il terzo dialogo, tra chi dirige il banchetto e lo sposo, in realtà potrebbe sembrare un monologo: lo sposo non risponde con le parole, forse con un sorriso compiaciuto, ma nel totale silenzio. Il “vino buono” è il risultato ottenuto grazie all’attenzione di una mamma, agli ordini di un figlio eseguiti silenziosamente dai servi.

Ti sei fidato. Tu sai bene che di acqua hai riempito le anfore e con tremore hai portato acqua a tavola. Ora tutti gioiscono del vino buono “tenuto da parte” come culmine della festa. Hai vissuto l’attesa e il vuoto, la paura del fallimento e il fallimento stesso. Poi hai avuto il coraggio di essere te stesso, ti sei fidato.

Il resto è l’opera di Dio in te, e questo “primo segno” compiuto da Gesù darà la giusta intonazione a tutti gli altri segni, fino al Segno della Croce, che salverà per sempre la festa tra Dio e i suoi figli, avvelenati da tanti vini cattivi, e guariti grazie al vino buono sgorgato dal cuore trafitto del Figlio di Dio.

Luca Rubin

Convertirsi partendo da un solo verbo: dare

«Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Sofonia racconta un Dio che esulta, che salta di gioia, che grida: «Griderà di gioia per te», un Dio che non lancia avvertimenti, oracoli di lamento o di rimprovero, come troppo spesso si è predicato nelle chiese; che non concede grazia e perdono, ma fa di più: sconfina in un grido e una danza di gioia. E mi cattura dentro. E grida a me: tu mi fai felice! Tu uomo, tu donna, sei la mia festa.
Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce interiore dei sogni; solo qui, solo per amore, Dio grida. Non per minacciare, ma per amare di più. Il profeta intona il canto dell’amore felice, amore danzante che solo rende nuova la vita: «Ti rinnoverà con il suo amore».
Il Signore ha messo la sua gioia nelle mie, nelle nostre mani. Impensato, inaudito: nessuno prima del piccolo profeta Sofonia aveva intuito la danza dei cieli, aveva messo in bocca a Dio parole così audaci: tu sei la mia gioia.
Proprio io? Io che pensavo di essere una palla al piede per il Regno di Dio, un freno, una preoccupazione. Invece il Signore mi lancia l’invito a un intreccio gioioso di passi e di parole come vita nuova. Il profeta disegna il volto di un Dio felice, Gesù ne racconterà il contagio di gioia (perché la mia gioia sia in voi, Giovanni 15,11).
Il Battista invece è chiamato a risposte che sanno di mani e di fatica: «E noi che cosa dobbiamo fare?». Il profeta che non possiede nemmeno una veste degna di questo nome, risponde: «Chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l’ha». Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, cavallette e miele selvatico, risponde: «Chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha». E appare il verbo che fonda il mondo nuovo, il verbo ricostruttore di futuro, il verbo dare: chi ha, dia!
Nel Vangelo sempre il verbo amare si traduce con il verbo dare. La conversione inizia concretamente con il dare. Ci è stato insegnato che la sicurezza consiste nell’accumulo, che felicità è comprare un’altra tunica oltre alle due, alle molte che già possediamo, Giovanni invece getta nel meccanismo del nostro mondo, per incepparlo, questo verbo forte: date, donate. È la legge della vita: per stare bene l’uomo deve dare.
Vengono pubblicani e soldati: e noi che cosa faremo? Semplicemente la giustizia: non prendete, non estorcete, non fate violenza, siate giusti. Restiamo umani, e riprendiamo a tessere il mondo del pane condiviso, della tunica data, di una storia che germogli giustizia. Restiamo profeti, per quanto piccoli, e riprendiamo a raccontare di un Dio che danza attorno ad ogni creatura, dicendo: tu mi fai felice.

P. Ermes Ronchi

Un Comandamento che li riassume tutti e 10

Come riassumere tutti i comandamenti in uno solo?
Fatti amare da Dio che ti ama.
Amalo al meglio delle tue capacità, con forza, impegno, intelligenza.
Ama te stesso perché ti vedi come Dio già ti vede.
Ama il tuo prossimo con l’amore divino che trabocca dal tuo cuore.
Ama.
"La misura dell'amore è amare senza misura".

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