La vedova di Nain e il ‘miracolo’ che ci chiede Gesù
La donna di Nain aveva già pianto la morte del suo uomo. Adesso è inghiottita dal dolore più atroce, quello che non ha neppure un nome per essere detto: due vite, quella del figlio e la sua, precipitate dentro un’unica bara.
Quante storie così anche oggi. Perché questo accanirsi, questa dismisura del male su spalle fragili? Nella Bibbia cerchi invano una risposta al perché del dolore. Il Vangelo però racconta la prima reazione di Gesù: egli prova dolore per il dolore dell’uomo.
E lo esprime con tre verbi: provare compassione, fermarsi, toccare. Gesù vede il pianto e si commuove, si lascia ferire dalle ferite di quel cuore. Il mondo è un immenso pianto, un fiume di lacrime, ma invisibili a chi ha perduto lo sguardo del cuore. Gesù sapeva guardare negli occhi di una persona (donna, non piangere) e scoprire dietro un centimetro quadrato di iride vita e morte, dolore e speranza.
C’è un solo modo per conoscere un uomo, Dio, un paese, un dolore: fermarsi, inginocchiarsi e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetro di viso, di occhi, di voce, come bambini o come innamorati. Quando ti fermi con qualcuno hai già fatto molto per la storia del mondo. Nessun segnale ci dice che quella donna fosse più religiosa di altri. Ciò che fa breccia nel cuore di Gesù è il suo dolore.
Quella donna non prega Gesù, non lo chiama, non lo cerca, ma tutto in lei è una supplica senza parole, e Dio ascolta l’eloquenza delle lacrime, risponde al pianto silenzioso di chi neppure si rivolge a lui. E si fa vicino, vicino come una madre al suo bambino. Gesù vede, si ferma e tocca. Ogni volta che Gesù si commuove, tocca: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain. Toccare è parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare il contagioso, l’infettivo, il mendicante, la bara. Non è un sentimento è una decisione.
Si accosta, tocca, parla: Ragazzo dico a te, alzati. Levati, alzati, sorgi, il verbo usato per la risurrezione.
E lo restituì alla madre, restituisce il ragazzo all’abbraccio, all’amore, agli affetti che soli ci rendono vivi, alle relazioni d’amore nelle quali soltanto troviamo la vita.
E tutti glorificavano Dio dicendo: è sorto un profeta grande!
Gesù è il profeta della compassione, di un Dio che cammina per tutte le Nain del mondo, si avvicina a chi piange, piange insieme con noi quando il dolore sembra sfondare il cuore.
E ci convoca a operare “miracoli”, non quello di trasformare una bara in una culla, come a Nain, ma quello di sostare accanto a chi soffre, accanto alle infinite croci del mondo, lasciandosi ferire da ogni ferita, portando il conforto umanissimo e divino della compassione.
Fermarsi. Per vedere bene un prato bisogna inginocchiarsi e guardarlo da vicino (Ermanno Olmi).
Il tatto è tra i cinque sensi quello che apre il Cantico, e lo riempie, è un modo di amare, il modo più intimo, è il bacio. Apre una stagione nuova nelle relazioni. Come la notte comincia dalla prima stella, così il mondo nuovo comincia dal primo samaritano buono.
Una donna, una bara, un corteo. Sono gli ingredienti di base del racconto di Nain che mette in scena la normalità della tragedia in cui si recita il dolore più grande del mondo. Quel buco nero che inghiotte la vita di una madre, di un padre privati di ciò che è più importante della loro stessa vita. Quel freddo improvviso e spaventoso che ti stringe la gola e sai che d’ora in poi niente sarà più come prima.
Gesù non sfiora il dolore, penetra dentro il suo abisso insieme a lei.
Entra in città da forestiero e si rivela prossimo: chi è il prossimo? gli avevano chiesto. Chi si avvicina al dolore altrui, se lo carica sulle spalle, cerca di consolarlo, alleviarlo, guarirlo se possibile.
Il Vangelo dice che Gesù fu preso da grande compassione per lei. La prima risposta del Signore è di provare dolore per il dolore della donna.
P. Ermes Ronchi
Corpus Domini 2016
La solennità del Corpus Domini (“Corpo del Signore”) è una festa di precetto, chiude il ciclo delle feste del periodo post Pasqua e celebra il mistero dell’Eucaristia istituita da Gesù nell’Ultima Cena.
QUALI SONO LE ORIGINI DELLA FESTA?
La ricorrenza è stata istituita grazie ad una suora che nel 1246 per prima volle celebrare il mistero dell’Eucaristia in una festa slegata dal clima di mestizia e lutto della Settimana Santa. Il suo vescovo approvò l’idea e la celebrazione dell’Eucaristia divenne una festa per tutto il compartimento di Liegi, dove il convento della suora si trovava. In realtà la festa posa le sue radici nell’ambiente della Gallia belgica e in particolare grazie alle rivelazioni della Beata Giuliana di Retìne.
Nel 1208 la beata Giuliana, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, vide durante un’estasi il disco lunare risplendente di luce candida, deformato però da un lato da una linea rimasta in ombra: da Dio intese che quella visione significava la Chiesa del suo tempo, che ancora mancava di una solennità in onore del SS. Sacramento. Il direttore spirituale della beata, il Canonico di Liegi Giovanni di Lausanne, ottenuto il giudizio favorevole di parecchi teologi in merito alla suddetta visione, presentò al vescovo la richiesta di introdurre nella diocesi una festa in onore del Corpus Domini. La richiesta fu accolta nel 1246 e venne fissata la data del giovedì dopo l’ottava della Trinità.
COS’È IL “MIRACOLO EUCARISTICO” DI BOLSENA?
Nel 1262 salì al soglio pontificio, col nome di Urbano IV, l’antico arcidiacono di Liegi e confidente della beata Giuliana, Giacomo Pantaleone. Ed è a Bolsena, proprio nel Viterbese, la terra dove è stata aperta la causa suddetta che in giugno, per tradizione si tiene la festa del Corpus Domini a ricordo di un particolare miracolo eucaristico avvenuto nel 1263. Si racconta che un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino liturgico (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina.
Venuto a conoscenza dell’accaduto Papa Urbano IV istituì ufficialmente la festa del Corpus Domini estendendola dalla circoscrizione di Liegi a tutta la cristianità. La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). Così, l’11 Agosto 1264 il Papa promulgò la Bolla “Transiturus” che istituiva per tutta la cristianità la Festa del Corpus Domini dalla città che fino allora era stata infestata dai Patarini i quali negavano il Sacramento dell’Eucaristia.
CHE COS’È LA PROCESSIONE DEL CORPORALE?
Già qualche settimana prima di promulgare questo importante atto, il 19 Giugno, lo stesso Pontefice aveva preso parte, assieme a numerosissimi cardinali e prelati venuti da ogni luogo e ad una moltitudine di fedeli, ad una solenne processione con la quale il sacro lino macchiato del sangue di Cristo era stato recato per le vie della città. Da allora, ogni anno in Orvieto, la domenica successiva alla festività del Corpus Domini, il Corporale del Miracolo di Bolsena, racchiuso in un prezioso reliquiario, viene portato processionalmente per le strade cittadine seguendo il percorso che tocca tutti i quartieri e tutti i luoghi più significativi della città. In seguito la popolarità della festa crebbe grazie al Concilio di Trento, si diffusero le processioni eucaristiche e il culto del Santissimo Sacramento al di fuori della Messa.
QUAL È LA DIFFERENZA TRA IL GIOVEDÌ SANTO E LA FESTA DEL CORPUS DOMINI?
Se nella Solennità del Giovedì Santo la Chiesa guarda all’Istituzione dell’Eucaristia, scrutando il mistero di Cristo che ci amò sino alla fine donando se stesso in cibo e sigillando il nuovo Patto nel suo Sangue, nel giorno del Corpus Domini l’attenzione si sposta sulla relazione esistente fra Eucaristia e Chiesa, fra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Le processioni e le adorazioni prolungate celebrate in questa solennità, manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano in questo Sacramento. In esso la Chiesa trova la sorgente del suo esistere e della sua comunione con Cristo, Presente nell’Eucaristia in Corpo Sangue anima e Divinità.
QUANDO SI CELEBRA E IN QUALI PAESI È GIORNO FESTIVO?
Il Corpus Domini si celebra il giovedì dopo la festa della Santissima Trinità. A Orvieto, dove fu istituita, e a Roma, dov’è presieduta dal Papa, la celebrazione si svolge infatti il giovedì dopo la solennità della Santissima Trinità. A Roma la celebrazione inizia nella Cattedrale di S. Giovanni in Laterano, per poi concludersi con la processione tradizionale fino alla basilica di Santa Maria Maggiore; il Santo Padre la presiede in quanto Vescovo di Roma. Nella stessa data si celebra in quei paesi nei quali la solennità è anche festa civile: nei cantoni cattolici della Svizzera, in Spagna, in Germania, Irlanda, Croazia, Polonia, Portogallo, Brasile, Austria e a San Marino.
In Italia e in altre nazioni il giorno festivo di precetto si trasferisce alla seconda domenica dopo Pentecoste, in conformità con le Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario.
Nella riforma del rito ambrosiano, promulgata dall’Arcivescovo di Milano il 20 marzo 2008, questa festività è stata riportata obbligatoriamente il giovedì della II settimana dopo Pentecoste con la possibilità, per ragioni pastorali, di celebrarla anche la domenica successiva. Numerose diocesi, in Italia, continuano a proporre ai fedeli la Celebrazione e la Processione Eucaristica, a livello diocesano, il giovedì, lasciando per la domenica la Celebrazione e la Processione parrocchiale.
IN CHE COSA CONSISTONO LE CELEBRAZIONI?
In occasione della solennità del Corpus Domini, dopo la celebrazione della Messa, si porta in processione, racchiusa in un ostensorio sottostante un baldacchino, un’ostia consacrata ed esposta alla pubblica adorazione: viene adorato Gesù vivo e vero, presente nel Santissimo Sacramento.
Fonte: Famiglia Cristiana
Lo chiamavano Trinità
“Trinità”: dal punto di vista terminologico, è un neologismo inventato dalla Chiesa per dare un nome al nostro Dio e, pur proclamando la fede in un solo Dio, distinguerlo in tre Persone uguali e distinte: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Nel vocabolario mancava una parola che significasse contemporaneamente uno e tre; e voilà, ecco a voi la TRINITA’!
Venti secoli di riflessione teologica hanno sempre più arricchito, ma anche “complessificato” la conoscenza del Dio dei cristiani; del resto, la fede non è una cosa semplice, anche se Dio è l’Essere più semplice che c’è! tra i cosiddetti predicati di Dio c’è anche l’UNO: più semplice di così!
Com’è possibile, chiediamoci, dichiarare che 3 è uguale a 1?
Quest’oggi mi permetto di obbiettare sulla scelta del brano di Vangelo: al capitolo 10 di Giovanni, ma anche e soprattutto al capitolo 17, il Signore dichiara che lui e il Padre sono uno; e prega il Padre affinché anche coloro che (il Padre) gli ha affidato siano una cosa sola, come lui, Gesù, e il Padre sono una cosa sola. Secondo il mio modesto parere, questi due brani di Vangelo sono decisamente più appropriati per parlare della Trinità.
E lo Spirito Santo? dov’è finito lo Spirito Santo?
Lo Spirito Santo è l’Amore che lega il Padre al Figlio e viceversa! Quando si parla del Padre e del Figlio si parla implicitamente anche dello Spirito Santo!
Magari, parlando dei cristiani, si potesse dire lo stesso!
Magari, si potesse dare per scontato l’amore cristiano anche tra noi cristiani!
L’Amore che lega il Padre al Figlio è talmente vero, talmente sostanziale ed essenziale, da assumere i connotati di una Persona vera e propria, appunto, la terza Persona della Trinità…che, poi, è la prima in ordine di apparizione, nella Bibbia, l’ho già detto domenica scorsa, in occasione della solennità della Pentecoste.
C’è un aspetto di importanza capitale nella nostra riflessione sulla Trinità; e lo cogliamo osservando l’icona tradizionale della Trinità: il Padre sorregge con le mani la croce del Figlio, mentre lo Spirito Santo vola sospeso tra lo sguardo del Padre e il capo reclinato del Figlio.
La croce è l’ora del Figlio, certo, il momento della morte/innalzamento/glorificazione di Gesù.
Tuttavia, in quel momento, sono presenti tutte e tre le persone (della Trinità), a condividere l’estremo gesto di riconciliazione con il quale il Verbo incarnato rivela l’amore infinito di Dio.
Coloro che hanno superato da un po’ gli –anta e si sono preparati alla prima comunione sul catechismo di Pio X, hanno studiato che Gesù patì come uomo, non come Dio.
Questa è ancora la spiegazione teologica del rapporto tra il nostro Dio infinito e immortale e la passione in croce di Gesù…
Ora, se è vero, com’è vero, che, in quanto Dio, il Signore non poteva né patire, né morire, gli autori della famosa icona occidentale della Trinità, dovrebbero spiegarci perché, al momento della morte del Figlio, convocano anche le altre due Persone… semplici testimoni?
Non credo!
Queste tre Persone, sono o non sono una cosa sola?
Se sì, allora non è errato pensare che tutto Dio nasce, tutto Dio opera prodigi, tutto Dio insegna e guarisce, tutto Dio patisce, tutto Dio muore, tutto Dio risorge. Certamente, nella persona di Cristo. Ma, come più volte sottolinea il Vangelo, il mistero dell’Incarnazione non separa il Figlio dal Padre e dallo Spirito Santo; in altre parole, l’unità trinitaria resta integra anche nel tempo che va dall’annunciazione dell’angelo a Maria santissima, all’Ascensione del Cristo al cielo.
È talmente armonica e integrale l’unità della sostanza delle tre Persone, che, dopo l’ascensione del Cristo risorto, anche la Trinità ne resta sensibilmente mutata: se prima dell’incarnazione la seconda persona della Trinità possedeva solo ed esclusivamente natura divina, dopo l’incarnazione, il Cristo conserva anche la natura umana (oltre a quella divina).
Come vedete, qualsiasi cosa possiamo affermare sulla Trinità, l’identità di Dio resta sempre un mistero, non solo nel senso di sacramento efficace della Grazia, ma anche nel senso di enigma, realtà troppo alta per comprenderla e definirla. S.Agostino dichiara: “Se lo capisci non è Dio!” È doveroso riconoscere che queste precisazioni non aggiungono granché al Vangelo.
Con buona pace dei filosofi cristiani, il Vangelo è l’unico testimone autorevole e autentico, che ci possa illuminare e rivelare la Verità di Gesù di Nazareth e la Verità di Dio; non si tratta di due verità diverse: la prima è contenuta nella seconda, come la parte nel tutto.
Che ne dite, la finiamo qui? Mi rendo conto che più ci inoltriamo nel discorso su Dio, più il discorso perde apparentemente il contatto con la realtà.
Tutta colpa, pardon, tutto merito della (filosofia) Scolastica, la quale rappresenta un crocevia, per la riflessione sul mistero di Dio, allorché, abbandonato per così dire l’elemento esperienziale della fede, cioè il momento liturgico, i teologi imboccarono la strada della speculazione filosofico-metafisica, assumendo concetti e categorie astratte, sillogismi, argomentazioni logiche, nella convinzione che tale cambio di rotta –dall’esperienza (sacramentale) di Dio, alla speculazione su Dio – potesse giovare alla comprensione delle verità rivelate.
Le intenzioni erano buone, più che buone… la riuscita, non lo so…
San Paolo ci ricorda che lo Spirito Santo ci insegna qualcosa di fondamentale sul nostro Dio: ci insegna a chiamarlo Padre. Così lo chiamò Gesù, nell’orto degli ulivi; e così lo chiamiamo noi, nella preghiera che Lui ci ha insegnato. La consapevolezza della paternità di Dio deve bastarci a vivere la fede e a sentirci fratelli nella fede.
E così sia!
fr. Massimo Rossi
Lo Spirito che ‘riporta al cuore’ ogni parola di Gesù
Lo Spirito Santo che il Padre manderà vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Lo Spirito, il misterioso cuore del mondo, il vento sugli abissi dell’origine, il fuoco del roveto, l’amore in ogni amore, respiro santo del Padre e del Figlio, lo Spirito che è Signore e dà la vita, come proclamiamo nel Credo, è mandato per compiere due grandi opere: insegnare ogni cosa e farci ricordare tutto quello che Gesù ha detto.
Avrei ancora molte cose da dirvi, confessa Gesù ai suoi. Eppure se ne va, lasciando il lavoro incompiuto. Penso all’umiltà di Gesù, che non ha la pretesa di aver insegnato tutto, di avere l’ultima parola, ma apre, davanti ai discepoli e a noi, spazi di ricerca e di scoperta, con un atto di totale fiducia in uomini e donne che finora non hanno capito molto, ma che sono disposti a camminare, sotto il vento dello Spirito che traccia la rotta e spinge nelle vele. Queste parole di Gesù mi regalano la gioia profetica e vivificante di appartenere ad una Chiesa che è un sistema aperto e non un sistema bloccato e chiuso, dove tutto è già stabilito e definito.
Lo Spirito ama insegnare, accompagnare oltre, verso paesaggi inesplorati, scoprire vertici di pensiero e conoscenze nuove. Vento che soffia avanti.
Seconda opera dello Spirito: vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Ma non come un semplice fatto mnemonico o mentale, un aiuto a non dimenticare, bensì come un vero “ricordare“, cioè un “riportare al cuore“, rimettere in cuore, nel luogo dove di decide e si sceglie, dove si ama e si gioisce. Ricordare vuol dire rendere di nuovo accesi gesti e parole di Gesù, di quando passava e guariva la vita, di quando diceva parole di cui non si vedeva il fondo.
Perché lo Spirito soffia adesso; soffia nelle vite, nelle attese, nei dolori e nella bellezza delle persone. Questo Spirito raggiunge tutti. Non investe soltanto i profeti di un tempo, o le gerarchie della Chiesa, o i grandi teologi. Convoca noi tutti, cercatori di tesori, cercatrici di perle, che ci sentiamo toccati al cuore da Cristo e non finiamo di inseguirne le tracce; ogni cristiano ha tutto lo Spirito, ha tanto Spirito Santo quanto i suoi pastori.
Ognuno ha tutto lo Spirito che gli serve per collaborare ad una terza opera fondamentale per capire ed essere Pentecoste: incarnare ancora il Verbo, fare di ciascuno il grembo, la casa, la tenda, una madre del Verbo di Dio. In quel tempo, lo Spirito è sceso su Maria di Nazareth, in questo tempo scende in me e in te, perché incarniamo il Vangelo, gli diamo passione e spessore, peso e importanza; lo rendiamo presente e vivo in queste strade, in queste piazze, salviamo un piccolo pezzo di Dio in noi e non lo lasciamo andare via dal nostro territorio.
P. Ermes Ronchi
Significato del Giovedì e Venerdì Santo
Il Giovedì Santo è un giorno molto importate per la Chiesa Cattolica: termina il periodo della Quaresima e inizia il Triduo Pasquale, ovvero i tre giorni che precedono a Santa Pasqua e che vengono dedicati alla commemorazione di Passione, Morte e Risurrezione di Gesù; per questa giornata sono previsti diversi eventi importanti, tra i quali spicca la lavanda dei piedi.
Il Venerdì Santo è il venerdì che precede la domenica di Pasqua, giorno in cui per i cristiani celebra la Resurrezione di Gesù Cristo. Per la cristianità il Venerdì Santo è un giorno particolarmente importante in quanto si ricorda la crocifissione e la morte del figlio di Dio. Il Venerdì è quindi un momento molto importante durante la settimana santa.
Domenica delle Palme: Importanza storica della ricorrenza
Con la Domenica delle Palme, detta anche Domenica della Passione del Signore, celebrata secondo il calendario liturgico cattolico la Domenica precedente alla Santa Pasqua ed osservata, oltre che dai Cattolici, anche dagli Ortodossi e dai Protestanti, ha inizio la Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni di vita terrena di Gesù con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la Crocifissione, Morte, Sepoltura e sua Risurrezione. La Quaresima terminerà, invece, con la celebrazione dell’ora nona del Giovedì Santo, giorno in cui, si darà inizio al “Sacro Triduo Pasquale”. Con la Domenica delle Palme si ricorda l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.
Mi presento
Carissimi,
giustamente qualcuno ha richiesto qualche notizia in più sul nuovo parroco di Sant’Anna. Ecco, perciò, qualche riga di presentazione sul mio percorso di vita, già abbastanza lungo.
Sono nato a Bedizzole (Brescia) il 10 settembre 1949. Dopo gli studi normali emetto la mia prima professione religiosa nella Congregazione di S. Giovanni Battista Piamarta il 27 settembre 1966. Nel 1969 conseguo la maturità superiore e la Congregazione mi dà la possibilità, dopo un biennio di filosofia, di iscrivermi presso l’Università Gregoriana in Roma, dove conseguo in un quinquennio la licenza in teologia, con specializzazione in morale.
Sono ordinato sacerdote il 29 giugno 1975, in S. Pietro, per le mani del Beato Paolo VI. E’ stato un momento per me molto particolare che ancora oggi mi crea commozione e mi dà forza.
Dopo l’ordinazione e una breve esperienza pastorale in borgata Ottavia a Roma, la Congregazione mi invia in una scuola di studi superiori a Brescia, dove svolgo il mio lavoro per vent’anni, insegnando materie letterarie e religione e ricoprendo, negli ultimi anni, la carica di direttore e di dirigente scolastico. Sono stati anni densi di attività e veramente belli per le relazioni con gli alunni e le loro famiglie: di questi anni ringrazio sempre dal profondo del cuore il Signore.
Nel Capitolo generale della Congregazione, svoltosi nel luglio 1997, vengo eletto Economo generale della stessa. Questa carica mi viene rinnovata nel Capitolo generale del 2003 e del 2009 e termino l’incarico nell’ agosto 2015. Le difficoltà sono state grandi, ma anche di questi anni devo ringraziare il Signore perché ho constatato molto spesso la sua Provvidenza e ho avuto la possibilità di conoscere a fondo la Congregazione nelle sue varie opere in Italia, Brasile, Cile, Angola e Mozambico.
E ora, dopo un periodo dove ho dovuto ristabilirmi fisicamente, la Congregazione mi ha proposto di essere parroco a Sant’Anna in Pontinia. Ho avuto un momento di smarrimento quando ho sentito la proposta, ma, dopo qualche giorno di riflessione, ho accettato con entusiasmo, sicuro che il Signore mi accompagnerà anche in questa nuova sfida. Ho conosciuto, da P. Italico in poi, tutti i parroci che si sono succeduti nella parrocchia di S. Anna: tutti hanno amato Pontinia e vi hanno lavorato con grande impegno. Spero di continuare con Voi lo stesso cammino. Ho bisogno di imparare molto, ma so che mi sarete vicini.
Come parroco, vi assicuro, pregherò ogni giorno per Voi perché, pur tra i molti problemi e le molte difficoltà, il Signore possa dare a tutti pace e serenità. Voi pregate per me.
Padre Giancarlo Orlini
Pregare cambia il cuore, diventi ciò che ami
Dal deserto al Tabor; dalla domenica dell’ombra che ci minaccia, alla domenica della luce che ci abita. Ciò che è avvenuto in Cristo avverrà in ciascuno, lui è il volto ultimo e alto dell’uomo, icona di Dio dipinta, come le antiche icone greche, su di un fondo d’oro, che traspare dalle ferite e dai graffi della vita, come da misteriose feritoie. Il racconto della trasfigurazione è collocato in un contesto duro e difficile: Gesù ha appena consegnato ai suoi il primo annuncio della passione: il figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso. E subito, dentro quel momento di oscurità, il vangelo ci regala il volto di Cristo che gronda luce, su cui tenere fissi gli occhi per affrontare il momento in cui la vita gronda sangue, per tutti, come per Gesù nell’orto degli ulivi.
Gesù salì su di un alto monte a pregare. I monti sono come indici puntati verso il cielo, verso il mistero di Dio e la sua salvezza, raccontano che la vita è un ascendere silenzioso e tenace verso più luce, più orizzonti, più cielo.
Gesù sale per pregare. La preghiera è mettersi in viaggio: destinazione Tabor, un battesimo di luce e di silenzio; destinazione futuro, un futuro più buono; approdo è il cuore di luce di Dio.
Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto. Pregare trasforma. Pregare cambia il cuore, tu diventi ciò che contempli, ciò che ascolti, ciò che ami, Colui che preghi: è nel contatto con il Padre che la nostra realtà si illumina, e appare in tutta la sua lucentezza e profondità.
In qualche momento privilegiato, toccati dalla gioia, dalla dolcezza di Dio, forse ci è capitato di dire, come Pietro: Signore, che bello! Vorrei che questo momento durasse per sempre. Facciamo qui tre tende? E una voce interiore diceva: è bello stare su questa terra, gravida di luce. È bello essere uomini, dentro questa umanità che pian piano si libera, cresce, ascende. È bello vivere.
Le parole di Pietro trasmettono una esperienza precisa: Dio è bello. Invece La nostra predicazione ha ridotto Dio in miseria, relegato a rovistare nel passato e nel peccato dell’uomo. Ora sta a noi restituirgli il suo volto solare, testimoniare un Dio bello, desiderabile, interessante. Il Dio del futuro, delle fioriture, un Dio da gustare e da godere. Come san Francesco quando prega: tu sei bellezza, tu sei bellezza. Come sant’Agostino: tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto nuova. Sarà come bere alle sorgenti della luce, agli orli dell’infinito.
Davvero il cristianesimo è proprio la religione della penitenza, della mortificazione, del sacrificio, come molti pensano? No, il vangelo è la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore.
P. Ermes Ronchi
Come grandine
Ti preghiamo, Signore Gesù,
fa’ che questa cenere scenda sulle nostre teste
con la forza della grandine
e ci svegli dal torpore del peccato.
Fa’ che questi quaranta giorni
siano un’occasione speciale per convertire il nostro cuore a Te,
e rimetterti al primo posto nella nostra vita.
Donaci di saper riconoscere il tuo passaggio
e di vivere ogni istante con la certezza
che Tu cammini in mezzo a noi,
che Tu sai aspettare il nostro passo lento e insicuro;
che Tu sai vedere in noi
quello che nemmeno sappiamo immaginare.
In questi quaranta giorni,
metti nel nostro cuore desideri
che palpitino al ritmo della Tua Parola.
Maria aggiunga ciò che manca alla nostra preghiera.
Amen.
Don Roberto Seregni
Ingresso del nuovo parroco padre Giancarlo Orlini
Oggi, 7 febbraio 2016 alle ore 11.00 presso la nostra chiesa si è celebrato l’ingresso del nuovo parroco padre Giancarlo Orlini.
La santa messa è stata presieduta da mons. Mariano Crociata insieme ai padri Piamartini e ai diaconi della diocesi. Erano inoltre presenti il sindaco di Pontinia Eligio Tombolillo e alcuni assessori, le varie associazioni parrocchiali e molti fedeli.
La comunità di Pontinia da il benvenuto a padre Giancarlo, con l’impegno di sostenerlo nell’incarico a lui affidato.
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