Rosario nei quartieri
Martedi 22 Ottobre, ore 21:00
TAVOLATO |
BRANDANI ANTONELLA – V. Tavolato |
OLTRE SISTO |
PERIATI ALBERTO – V. Mediana SL, 48 |
LUNGO BOTTE |
BOSCHETTO LINO – Migl. 48 |
B.GO PASUBIO |
FAM. GABRIELLI E RASO – V. Trieste |
POETI |
ROSSI ANGELO |
LATINI |
FUSCO ANNA – V. dei Latini |
MUSICISTI |
LUPPI ENRICO – V. Paisiello 9 |
STATISTI |
D’AGUANNO GOFFREDO E ATTILIA – V. A. Moro |
CENTRO STORICO NORD |
BOTTONI GIACINTA – V. Napoli |
CENTRO STORICO SUD |
FAM. ORELLI – V. della Libertà, 33 |
CENTRO STORICO EST |
GRICOLO GIANCARLO – V. dei Volsci |
CENTRO STORICO OVEST |
CAROCCI ROBERTA – P.zza Innocenzo XI |
La fede, un «niente» che può «tutto»
Gesù ha appena avanzato la sua proposta "unica misura del perdono è perdonare senza misura", che agli Apostoli appare un obiettivo inarrivabile, al di là delle loro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede. Da soli non ce la faremo mai.
Gesù però non esaudisce la richiesta, perché non tocca a Dio aggiungere, accrescere, aumentare la fede, non può farlo: essa è la libera risposta dell'uomo al corteggiamento di Dio.Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introducendo come unità di misura il granello di senape, proverbialmente il più piccolo di tutti i semi: non si tratta di quantità, ma di qualità della fede. Fede come granello, come briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragilità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza. Allora ne basta un granello, poca, anzi meno di poca, per ottenere risultati impensabili. La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati.Io ho visto alberi volare, ho visto il mare riempirsi di gelsi. Ho visto, fuori metafora, discepoli del Vangelo riempire l'orizzonte di imprese al di sopra delle forze umane.
Segue poi poi una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, che inizia come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una proposta spiazzante, nello stile tipico del Signore: Quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene: servo inutile significa non determinante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore» (Rumi).Allora capisco che chiedere «accresci la mia fede» significa domandare che questa forza vivificante entri come linfa nelle vene del cuore.
Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all'utile, scommette sulla gratuità, senza cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti. La sua gioia è servire la vita, custodendo con tenerezza coloro che gli sono affidati. Mai nel Vangelo è detto inutile il servizio, anzi esso è il nome nuovo, il nome segreto della civiltà. È il nome dell'opera compiuta da Gesù, venuto per servire, non per essere servito. Come lui anch'io sarò servo, perché questo è l'unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.
P. Ermes Ronchi
Le piaghe del povero, carne di Cristo
C'era una volta un ricco… La parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro inizia con il tono di una favola e si svolge con il sapore di un apologo morale: c'è uno che si gode la vita, un superficiale spensierato, al quale ben presto la vita stessa presenta il conto. Il cuore della parabola non sta però in una sorta di capovolgimento nell'aldilà: chi patisce in terra godrà nel cielo e chi gode in questa vita soffrirà nell'altra. Il messaggio è racchiuso in una parola posta sulla bocca di Abramo, la parola 'abisso', un grande abisso è stabilito tra noi e voi.
Questo baratro separava i due personaggi già in terra: uno affamato e l'altro sazio, uno in salute e l'altro coperto di piaghe, uno che vive in strada l'altro al sicuro in una bella casa. Il ricco poteva colmare il baratro che lo separava dal povero e invece l'ha ratificato e reso eterno. L'eternità inizia quaggiù, l'inferno non sarà la sentenza improvvisa di un despota, ma la lenta maturazione delle nostre scelte senza cuore.
Che cosa ha fatto il ricco di male? La parabola non è moralistica, non si leva contro la cultura della bella casa, del ben vestire, non condanna la buona tavola. Il ricco non ha neppure infierito sul povero, non lo ha umiliato, forse era perfino uno che osservava tutti i dieci comandamenti.
Lo sbaglio della sua vita è di non essersi neppure accorto dell'esistenza di Lazzaro. Non lo vede, non gli parla, non lo tocca: Lazzaro non esiste, non c'è, non lo riguarda. Questo è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida (1 Gv 3,15). Tocchiamo qui uno dei cuori del Vangelo, il cui battito arriva fino al giorno del giudizio finale: Avevo fame, avevo freddo, ero solo, abbandonato, l'ultimo, e tu hai spezzato il pane, hai asciugato una lacrima, mi hai regalato un sorso di vita.
Il male è l'indifferenza, lasciare intatto l'abisso fra le persone. Invece «il primo miracolo è accorgersi che l'altro, il povero esiste» (S. Weil), e cercare di colmare l'abisso di ingiustizia che ci separa.
Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era lì presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazzaro e a ricordarle per sempre, tutte le parole, ogni singolo gesto di cura, tutto ciò che poteva regalare a quel naufrago della vita dignità e rispetto, riportare uomo fra gli uomini colui che era solo un'ombra fra i cani. Perché il cammino della fede inizia dalle piaghe del povero, carne di Cristo, corpo di Dio.
«Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, lascia la preghiera e vai da lui. Il Dio che trovi è più sicuro del Dio che lasci» (san Vincenzo de Paoli).
P. Ermes Ronchi
Testimonianza di Paolo Brosio
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Un cuore che vede
Il Vangelo di questa domenica si apre con la domanda che un dottore della Legge pone a Gesù: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Sapendolo esperto nelle Sacre Scritture, il Signore invita quell'uomo a dare lui stesso la risposta, che infatti egli formula perfettamente, citando i due comandamenti principali: amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze, e amare il prossimo come se stessi. Allora il dottore della Legge, quasi per giustificarsi, chiede: "E chi è mio prossimo?". Questa volta, Gesù risponde con la celebre parabola del "buon Samaritano", per indicare che sta a noi farci "prossimo" di chiunque abbia bisogno di aiuto. Il Samaritano, infatti, si fa carico della condizione di uno sconosciuto, che i briganti hanno lasciato mezzo morto lungo la strada; mentre un sacerdote e un levita erano passati oltre, forse pensando che a contatto con il sangue, in base ad un precetto, si sarebbero contaminati. La parabola, pertanto, deve indurci a trasformare la nostra mentalità secondo la logica di Cristo, che è la logica della carità: Dio è amore, e rendergli culto significa servire i fratelli con amore sincero e generoso.
Questo racconto evangelico offre il "criterio di misura", cioè "l'universalità dell'amore che si volge verso il bisognoso incontrato «per caso», chiunque egli sia". Accanto a questa regola universale, vi è anche un'esigenza specificamente ecclesiale: che "nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno". Il programma del cristiano, appreso dall'insegnamento di Gesù, è "un cuore che vede" dove c'è bisogno di amore, e agisce in modo conseguente .(si può riprendere l'insegnamento dell'enciclica Deus Caritas est oppure i richiami preziosi di papa Francesco)
Gesù risponde allo scriba desideroso di sapere chi è il suo prossimo non con una definizione teorica, ma con la parabola del buon Samaritano, che ha tutta la parvenza di un fatto tratto dal vero. Gesù la racconta mentre sta attraversando la Samaria, diretto a Gerusalemme. Continuando il suo cammino, Egli passerà da Gerico. Risalirà quella strada da cui è disceso l'uomo della parabola che cade nelle mani dei briganti.
E' una strada ripida e in mezzo a dirupi e burroni, che sale attraverso l'arido deserto di Giuda, simbolo del cammino tenebroso del male ma anche di quello faticoso della Redenzione. […]
Continua la lettura: buon samaritano
Don Roberto Rossi
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