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Rosario nei quartieri

Martedi 22 Ottobre, ore 21:00

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La fede, un «niente» che può «tutto»

GesùGesù ha appena avanza­to la sua proposta "uni­ca misura del perdono è perdonare senza misura", che agli Apostoli appare un obietti­vo inarrivabile, al di là delle lo­ro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede. Da soli non ce la faremo mai.

Gesù però non esaudisce la ri­chiesta, perché non tocca a Dio aggiungere, accrescere, au­mentare la fede, non può farlo: essa è la libera risposta dell'uo­mo al corteggiamento di Dio.Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introdu­cendo come unità di misura il granello di senape, proverbial­mente il più piccolo di tutti i semi: non si tratta di quantità, ma di qualità della fede. Fede come granello, come briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragi­lità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria picco­lezza ha ancora più fiducia nel­la sua forza. Allora ne basta un granello, po­ca, anzi meno di poca, per ot­tenere risultati impensabili. La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede come un granello di se­nape, potrete dire a questo gel­so sradicati.Io ho visto alberi volare, ho vi­sto il mare riempirsi di gelsi. Ho visto, fuori metafora, discepoli del Vangelo riempire l'orizzon­te di imprese al di sopra delle forze umane.

Segue poi poi una piccola pa­rabola sul rapporto tra padro­ne e servo, che inizia come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una proposta spiazzante, nello sti­le tipico del Signore: Quando a­vete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene: servo i­nutile significa non determi­nante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma nella Pa­rola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore» (Rumi).Allora capisco che chiedere «ac­cresci la mia fede» significa do­mandare che questa forza vivi­ficante entri come linfa nelle vene del cuore.

Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all'utile, scommette sulla gratuità, sen­za cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti. La sua gioia è servire la vita, custo­dendo con tenerezza coloro che gli sono affidati. Mai nel Vangelo è detto inutile il servi­zio, anzi esso è il nome nuovo, il nome segreto della civiltà. È il nome dell'opera compiuta da Gesù, venuto per servire, non per essere servito. Come lui an­ch'io sarò servo, perché questo è l'unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.

P. Ermes Ronchi

Le piaghe del povero, carne di Cristo

riccoepuloneC'era una volta un ricco… La parabola del ricco senza no­me e del povero Lazzaro ini­zia con il tono di una favola e si svolge con il sapore di un a­pologo morale: c'è uno che si gode la vita, un superficiale spensierato, al quale ben pre­sto la vita stessa presenta il conto. Il cuore della parabo­la non sta però in una sorta di capovolgimento nell'aldilà: chi patisce in terra godrà nel cielo e chi gode in questa vi­ta soffrirà nell'altra. Il mes­saggio è racchiuso in una pa­rola posta sulla bocca di A­bramo, la parola 'abisso', un grande abisso è stabilito tra noi e voi.
Questo baratro separava i due personaggi già in terra: uno affamato e l'altro sazio, uno in salute e l'altro coperto di piaghe, uno che vive in stra­da l'altro al sicuro in una bel­la casa. Il ricco poteva colmare il baratro che lo separa­va dal povero e invece l'ha ra­tificato e reso eterno. L'eter­nità inizia quaggiù, l'inferno non sarà la sentenza improv­visa di un despota, ma la len­ta maturazione delle nostre scelte senza cuore.
Che cosa ha fatto il ricco di male? La parabola non è mo­ralistica, non si leva contro la cultura della bella casa, del ben vestire, non condanna la buona tavola. Il ricco non ha neppure infierito sul povero, non lo ha umiliato, forse era perfino uno che osservava tutti i dieci comandamenti.
Lo sbaglio della sua vita è di non essersi neppure accorto dell'esistenza di Lazzaro. Non lo vede, non gli parla, non lo tocca: Lazzaro non esiste, non c'è, non lo riguarda. Que­sto è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida (1 Gv 3,15). Tocchiamo qui uno dei cuori del Vangelo, il cui batti­to arriva fino al giorno del giu­dizio finale: Avevo fame, ave­vo freddo, ero solo, abbando­nato, l'ultimo, e tu hai spez­zato il pane, hai asciugato u­na lacrima, mi hai regalato un sorso di vita.
Il male è l'indifferenza, la­sciare intatto l'abisso fra le persone. Invece «il primo mi­racolo è accorgersi che l'altro, il povero esiste» (S. Weil), e cercare di colmare l'abisso di ingiustizia che ci separa.
Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era lì presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazza­ro e a ricordarle per sempre, tutte le parole, ogni singolo gesto di cura, tutto ciò che poteva regalare a quel nau­frago della vita dignità e ri­spetto, riportare uomo fra gli uomini colui che era solo un'ombra fra i cani. Perché il cammino della fede inizia dalle piaghe del povero, car­ne di Cristo, corpo di Dio.
«Se stai pregando e un pove­ro ha bisogno di te, lascia la preghiera e vai da lui. Il Dio che trovi è più sicuro del Dio che lasci» (san Vincenzo de Paoli).

P. Ermes Ronchi

Testimonianza di Paolo Brosio

Straordinaria, commovente e toccante testimonianza di Paolo Brosio.
La storia della sua conversione. La sua attuale opera missionaria e caritativa per la diffusione del Vangelo e l'aiuto agli ultimi.
Latina, Parrocchia san Michele arcangelo, 29 Settembre 2013

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Caro Luca

luca_violoMartedì scorso abbiamo celebrato la festa del tuo ingresso in cielo, carissimo Luca. Sembra una contraddizione accostare queste due parole, festa e funerale, ma non è così, in modo particolare per te, amante della vita a trecentosessanta gradi. Nell’Azione Cattolica: tu c’eri; nella banda musicale cittadina: tu c’eri; nel Consiglio Giovanile Comunale: tu c’eri; nel Cantiere Creativo: tu c’eri; nell’università: tu c’eri; perfino in pista sul cart ti si poteva trovare. Insomma tu c’eri, tu ci sei.
Da quando sono a Pontinia, non ho mai visto tanta gente partecipare ad una celebrazione religiosa quanta ce n’era per te.
 
La foto che ti ritrae seduto con quel raggio di sole che illumina il tuo volto è la migliore descrizione della tua persona, solare, ottimista, capace di relazionarsi con tutti, proprio come il sole, che fa splendere i suoi raggi su ogni uomo, senza distinzione. Lo sai che non dico queste cose per lusingarti o per strappare lacrime a chi legge, ma perché io, come tanti, sentiamo il bisogno di parlare di te, di parlare con te. Non si può non sentire il calore della vita standoti vicino. Per questo tanta gente, di tutte le età, “di chiesa” e non, è voluta esserti accanto, in quel giorno così luminoso della vita che è il giorno dell’incontro faccia a faccia con Dio, con quel Dio dal quale tanto ti sei sentito conosciuto e amato, a tal punto da voler indicare ad altri la via di questo amore.
È vero, non sarà facile riprendere la vita quotidiana senza la tua presenza fisica. Come non ricordare il tuo “Ciao boss” il sabato pomeriggio quando venivi per l’incontro di ACR; la tua battuta arguta che sapeva amichevolmente prendere in giro tutti e sorridere su tutto; la tua curiosità intellettuale, la tua profondità spirituale negli incontri formativi.
 
Dalle tue condivisioni ci si aspettava sempre un tocco di diversità, un aspetto che non era ancora stato colto, un guizzo di creatività, che è proprio delle menti vivaci e costantemente alla ricerca di nuovi stimoli. Ci conosciamo da tanti anni, da quando eri bambino, anche se in questi ultimi mesi ho avuto la possibilità di conoscerti e apprezzarti più da vicino, e ringrazio il Signore per questo. Che bello quando uno degli ultimi giorni del campo ACR a Capranica mi hai mostrato un foglio che vi avevo distribuito in un incontro di qualche anno fa. Mi hai detto: te lo ricordi? Perché tu conservavi tutto, tutto quello che passava nel tuo cuore.
 
Non sarà facile riprendere senza di te, ma tu ci aiuterai. La parola di Dio che abbiamo ascoltato durante la messa ci ha rassicurato sulla tua condizione attuale di abitante di quella città che non ha bisogno di luce di lampada e neppure della luce del sole, perché il Signore stesso la illumina e riscalda. Ma tu ci devi aiutare ad alzare lo sguardo, a non girare a vuoto intorno ai ricordi, a non rimanere eccessivamente legati alle cose del passato, a tal punto da non vedere le cose presenti.
 
L’uomo guarda l’apparenza, Dio guarda il cuore: te la ricordi questa frase? È stata una delle più significative dell’ultimo campo scuola vissuto insieme. Ci devi aiutare a non fermarci all’apparenza, che rischia di vedere solo una vita spezzata da un tragico incidente e tanti sogni di un ragazzo di diciannove anni andati in fumo. Ci devi aiutare ad andare al cuore, a vedere le cose come le vede Dio: un giovane figlio Suo e fratello nostro, che fino ad ora volava con ali di condor, ma ora vola su ali d’aquila, nel Suo cielo infinito.
 
 

La meravigliosa sfida dell’Associazione “La Rete”

Nella serata del 5 agosto scorso abbiamo avuto modo di assistere allo spettacolo “In 18 tra Hollywood e Cinecittà”, organizzato dai volontari dell’Associazione “La Rete”, che ha visto come protagonisti diciotto ragazzi disabili, annunciati come dei veri attori professionisti.
Una scommessa difficile attendeva questi “ragazzi”: portarsi in scena, prima a Pontinia, ora a Sabaudia, guidati dai volontari, loro “angeli custodi”.
Che cosa dire al termine dello spettacolo? Che tra grandi, fragorosi applausi anche tutti noi siamo entrati nella “Rete”. È una rete invisibile agli occhi, come tutto ciò che è essenziale: “Non si vede bene che con il cuore”, leggiamo nell’incantevole avventura stellare de “Il Piccolo Principe”.
Le sue maglie, visibilissime al cuore, abbracciano i presenti che, in gran numero, sono accorsi nell’anfiteatro del Parco del Circeo, già pregustando la gioia di assistere, come nello scorso anno, a qualcosa di miracoloso.[…]
 
A cura di: Giulia Medici e Teresa Zicchieri
 
Continua la lettura: La meravigliosa sfida
 
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Il prezioso stendardo di Sant’Anna di Pontinia

ttendevamo come una sorpresa per la Festa di S. Anna ’13 di poter rivedere esposto in chiesa il “restaurato” “Gagliardetto dell’ Unione delle donne cattoliche di Pontinia”.  Un’icona dell’immediato dopo guerra e del secondo decennio della nostra città. Ma la malattia, non prevista dell’ anziana  monaca di clausura che si è presa davvero a cuore la certosina ricostruzione dei ricami e del fondo di seta quasi totalmente rovinati, ci costringe a rimandare questo atteso ritorno fra noi del simbolo del coraggio e della devozione cristiana delle nostre madri-nonne pioniere, anzi delle nostre coraggiose e forti famiglie.
 
Ecco almeno la cronaca-racconto della visita al “Laboratorio di restauro" : Il prezioso stendardo di Sant'Anna di Teresa M. e Silvana Z.
 

Secondo Pellegrinaggio a Lanciano e Manoppello

Se dovessi, in una sola nota, racchiudere l’abbondanza di stimoli pervenutici sin dalle prime ore del mattino, già sul pullman e lungo tutta la giornata di noi “pellegrini”, come appunto ognuno di noi si “rappresentava”, sceglierei quale segno espressivo ed unificante del nostro “essere pellegrini in cammino”, il vocabolo “parola”, specie quando essa è elargita a piene mani, o meglio, donata..
Ogni parola donata è sempre testimonianza di alterità, viaggio per l’altro e con l’altro.
L’altro è punto di arrivo, e nell’altro la parola donata ne conferma l’autenticità, ne rafforza il valore sprigionando energie e competenze.
Ma allorché la parola donata nasce dal cuore per veicolare la “Parola di Dio”, quella dei Salmi, del Vangelo, ecc., non c’è dubbio ch’essa, autentica e veritiera, oltre che ascoltata, è fatta propria, desiderata e desiderante.
E P. Valeriano in questo è oltremodo un “testimone veritiero”. Un Padre che nel donare la parola, dona se stesso; vive la parola e ne dà testimonianza. In ogni parola vibra l’essenza del suo essere con l’altro: ha forza propulsiva, convincente e partecipata. Direi che siamo stati cullati dalla “Sua Parola”, quella del Signore, immersi nella Parola, spronati dalla Parola.
 
Continua la lettura dell'articolo a cura di Marcello Calisi e Teresa Medici da questo link:  La parola donata
 

Un cuore che vede

File:Samaritan.jpgIl Vangelo di questa domenica si apre con la domanda che un dottore della Legge pone a Gesù: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Sapendolo esperto nelle Sacre Scritture, il Signore invita quell'uomo a dare lui stesso la risposta, che infatti egli formula perfettamente, citando i due comandamenti principali: amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze, e amare il prossimo come se stessi. Allora il dottore della Legge, quasi per giustificarsi, chiede: "E chi è mio prossimo?". Questa volta, Gesù risponde con la celebre parabola del "buon Samaritano", per indicare che sta a noi farci "prossimo" di chiunque abbia bisogno di aiuto. Il Samaritano, infatti, si fa carico della condizione di uno sconosciuto, che i briganti hanno lasciato mezzo morto lungo la strada; mentre un sacerdote e un levita erano passati oltre, forse pensando che a contatto con il sangue, in base ad un precetto, si sarebbero contaminati. La parabola, pertanto, deve indurci a trasformare la nostra mentalità secondo la logica di Cristo, che è la logica della carità: Dio è amore, e rendergli culto significa servire i fratelli con amore sincero e generoso.
Questo racconto evangelico offre il "criterio di misura", cioè "l'universalità dell'amore che si volge verso il bisognoso incontrato «per caso», chiunque egli sia". Accanto a questa regola universale, vi è anche un'esigenza specificamente ecclesiale: che "nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno". Il programma del cristiano, appreso dall'insegnamento di Gesù, è "un cuore che vede" dove c'è bisogno di amore, e agisce in modo conseguente .(si può riprendere l'insegnamento dell'enciclica Deus Caritas est oppure i richiami preziosi di papa Francesco)
Gesù risponde allo scriba desideroso di sapere chi è il suo prossimo non con una definizione teorica, ma con la parabola del buon Samaritano, che ha tutta la parvenza di un fatto tratto dal vero. Gesù la racconta mentre sta attraversando la Samaria, diretto a Gerusalemme. Continuando il suo cammino, Egli passerà da Gerico. Risalirà quella strada da cui è disceso l'uomo della parabola che cade nelle mani dei briganti.
E' una strada ripida e in mezzo a dirupi e burroni, che sale attraverso l'arido deserto di Giuda, simbolo del cammino tenebroso del male ma anche di quello faticoso della Redenzione. […]

Continua la lettura: buon samaritano

Don Roberto Rossi

Pellegrinaggio a Lanciano e Manoppello

È sera, ormai. Siamo appena rientrati dal pellegrinaggio in Abruzzo e ci scambiamo velocemente le nostre impressioni: che cosa ti è piaciuto di più del viaggio? La risposta unanime è “Tutto, proprio tutto!”.
Anch’io sono tranquilla e serena, appagata: questo giorno non è trascorso invano.
Siamo partiti all’alba per Lanciano (CH), l’antica Anxanum dei Frentani, per adorare l’Ostia del Miracolo Eucaristico, antico di dodici secoli, per poi raggiungere Manoppello e sostare in contemplazione del Volto Santo.
Il nostro parroco-missionario P. Valeriano Montini, si prodiga affinché questo gruppo di  56 parrocchiani si amalgami e si concentri sul significato spirituale vero, profondo del viaggio. Nessuno di noi è un’isola, una monade, nessuno di noi è qui per caso, egli afferma con forza, ma siamo stati chiamati uno per uno dal Signore per formare una piccola comunità in preghiera, in ascolto di ciò che Lui vorrà suggerirci in questo pellegrinaggio.
Così, il rosario scorre nelle nostre mani, mentre meditiamo le emozionanti riflessioni di “Don” Tonino Bello, il Vescovo di Molfetta, già proclamato Servo di Dio.
“Santa Maria, egli invoca, mettiti affianco a noi; se ci vedi sbandare non aspettare il nostro grido di aiuto. Tu che sei stata ai piedi della croce, ripeti quell’esperienza con noi, sorvegliaci nell’ora suprema e implora la misericordia del tuo Figlio affinché entriamo nel suo regno di luce”.
Anche le litanie lauretane, spiegate approfonditamente dal parroco, rivelano tutta la loro bellezza, che scende in noi come un balsamo.
 A questa meraviglia spirituale corrispondono le meraviglie del paesaggio che scorre sotto i nostri occhi, ben diverso da quello dell’Agro Pontino.
Ammiriamo le montagne, sempre più imponenti, fino alla Maiella, alta quasi il doppio della nostra Semprevisa; la natura è in festa in questo inizio d’estate: le verdi pendici sono fittamente punteggiate da innumerevoli cespugli di ginestre, di un giallo radioso. La preghiera è spontanea: quante sono le tue opere, Signore. Le hai fatte tutte con saggezza; la Terra è piena delle tue creature. Benedici il Signore, anima mia (dal salmo 103).[…]
 
 
Teresa Medici
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