Chiamati a lasciarci amare da Dio
Io sono un campo dove circola vento, cade pioggia di vita, scoccano dardi di sole. «Capisco che non posso fare affidamento sui pochi centesimi di amore che soli mi appartengono, non bastano per quasi nulla. Nei momenti difficili, se non ci fossi tu, Padre saldo, Figlio tenero, Spirito vitale, cosa potrei comprare con le mie monetine?» (M. Marcolini).
Proprio come continua il Vangelo oggi: e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Noi siamo il cielo di Dio, abitati da Dio intero, Padre Figlio e Spirito Santo. Un cielo trinitario è dentro di noi. Ci hanno spesso insegnato che l'incontro con il Signore era il premio per le nostre buone azioni. Il Vangelo però dice altro: se, come Zaccheo, ti lasci incontrare dal Signore, allora sarà lui a trasformarti in tutte le tue azioni.
Simone Weil usa questa delicata metafora: Le amiche della sposa non conoscono i segreti della camera nuziale, ma quando vedono l'amica diversa, gloriosa di vita nuova, con il grembo che s'inarca come una vela, allora capiscono che a trasformarla è stato l'incontro d'amore. Ci è rivolta qui una delle parole più liberanti di Gesù: il centro della fede non è ciò che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me. Al centro non stanno le mie azioni, buone o cattive, ma quelle di Dio, il Totalmente Altro che viene e mi rende altro.
Il primo posto nel Vangelo non spetta alla morale, ma alla fede, alla relazione affettuosa con Dio, allo stringersi a Lui come un bambino si stringe al petto della madre e non la vuol lasciare, perché per lui è vita.
Lo Spirito vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Una affermazione colma di bellissimi significati profetici. Due verbi: Insegnare e Ricordare. Sono i due poli entro cui soffia lo Spirito: la memoria cordiale dei grandi gesti di Gesù e l'apprendimento di nuove sillabe divine; le parole dette «in quei giorni» e le nuove conquiste della mente e dell'anima che lo Spirito induce. Colui che in principio covava le grandi acque e si librava sugli abissi, continua ancora a covare le menti e a librarsi, creatore, sugli abissi del cuore.
P. Ermes Ronchi
Maggio, il mese mariano
Carissimi,
la preziosa tradizione della nostra parrocchia, di trovarci di sera nel mese di Maggio per pregare assieme il Santo Rosario, giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, bambini e famiglie, è un’occasione bella non solo per incontrare i nostri vicini, ma anche per fare presente il “CIELO” nella nostra terra e nelle nostre famiglie.
Sempre più, magari senza accorgerci, ci troviamo coinvolti dalla fretta, dalle ansie, dalle cose da fare, e in fondo un po’ tutti sentiamo il desiderio di un po’ di sana pace e di vero coraggio in un momento così difficile.
Anche Gesù sentiva il bisogno di stare un poco in disparte con i suoi, per avere momenti intensi di tranquillità e di preghiera che Lo aiutassero per la Sua missione. Forse fu proprio in uno di questi momenti che i discepoli gli chiesero: ”Gesù, insegna anche a noi a pregare”.
Per questo, sono contento di riproporre a tutti i Pontiniesi la bella e terapeutica tradizione di ritrovarci a vivere con semplicità questi momenti serali di preghiera con Maria.
Forse nascerà anche in noi, piano piano, il desiderio di dire: “Maria, insegnaci a pregare, anzi, prega per noi e con noi… che siamo figli tuoi!”
Il Rosario, preghiera semplice, è anche una forma per “abbracciare i nostri cari che già ci hanno preceduto” e per “stare vicino e sostenere” quelli con cui viviamo.
Pregare è un’ atteggiamento interiore, ma si trasforma in forza e coraggio per la vita.
P.S. Non abbiamo paura ad invitare le persone che amiamo e che vorremmo amare. Buon Mese di Maggio.
P. Valeriano Montini
Amare l’altro con lo ‘stile’ di Gesù
Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri.
Sì, ma di quale amore? Parola così abusata, parola che a pronunciarla male brucia le labbra, dicevano i rabbini. Noi confondiamo spesso l'amore con un'emozione o un'elemosina, con un gesto di solidarietà o un momento di condivisione.
Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il brivido emozionante della scoperta dell'altro, che ti appare non più come un oggetto ma come un evento, come colui che ti dà il gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite, che ti fa nascere, con il meglio di te. Per amare devo guardare una persona con gli occhi di Dio, quando adotto il suo sguardo luminoso divento capace di scoprirne tutta la bellezza e grandezza e unicità. E da questo si sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere. Io vado dall'altro come ad una fonte, e mi disseta. Allora lo posso amare, e nell'amore l'altro diventa il mio maestro, colui che mi fa camminare per nuovi sentieri. Allo stesso modo anche i due sposi devono amarsi come due maestri, ciascuno maestro dell'altro, ciascuno messo in cammino verso orizzonti più grandi. Lasciarsi abitare dalle ricchezze dell'altro, e la vita diventa immensamente più felice e libera. Allo stesso modo anche il povero che incontro o lo straniero che bussa alla mia porta li posso guardare come fossero i «nostri signori» (san Vincenzo de Paolis), e imparare quindi a dare come faceva Gesù: non come un ricco ma come un povero che riceve, come un mendicante d'amore. E pensare davanti al povero: sono io il povero, fatto ricco di te, dei tuoi occhi accesi, della tua storia, del tuo coraggio.
Vi do un comandamento nuovo. Non si tratta di una nuova ingiunzione, ma della regola che protegge la vita umana, dove sono riassunti del destino del mondo e la sorte di ognuno: «abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene» (Maritain).
Dove sta la novità? Già nell'Antico Testamento era scritto ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso.
La novità del comando sta nella parola successiva: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Non dice quanto vi ho amato, impossibile per noi la sua misura, ma come Gesù, con il suo stile unico, con la sua eleganza gentile, con i capovolgimenti che ha portato, con la sua creatività: ha fatto cose che nessuno aveva fatto mai. I cristiani non sono quelli che amano (lo fanno in molti sotto tutte le latitudini) ma quelli che amano come Gesù: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vostri signori…
Come Lui, che non solo è amore, ma esclusivamente amore.
P.Ermes Ronchi
Pellegrinaggio a S.Rita da Cascia
Quella domanda: mi ami tu?
Gesù, maestro di umanità, usa il linguaggio semplice dell'amore, domande risuonate sulla terra infinite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di sapere: mi ami? Mi vuoi bene?
Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame; di domande e risposte che anche un bambino capisce perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni.
Il linguaggio del sacro diventa il linguaggio delle radici profonde della vita. La vera religione non è mai separata dalla vita.
Seguiamo le tre domande, sempre uguali, sempre diverse: Simone, mi ami più di tutti? Pietro risponde con un altro verbo, quello più umile dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. Anche nella seconda risposta Pietro mantiene il profilo basso di chi conosce bene il cuore dell'uomo: ti sono amico. Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo raggiunge là dov'è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l'amore è troppo; amicizia, se l'amore ti mette paura. Pietro, sei mio amico? E mi basterà, perché il tuo desiderio di amore è già amore.
Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro, la misura di Pietro diventa più importante di se stesso: l'amore vero mette il tu prima dell' io. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d'amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, e un cuore sincero.
Nell'ultimo giorno sono certo che se anche per mille volte avrò tradito, il Signore per mille volte mi chiederà soltanto questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte, soltanto questo: Ti voglio bene.
P. Ermes Ronchi
Nel cuore del cielo il nostro alfabeto d’amore
A noi giovò più l'incredulità di Tommaso che non la fede degli apostoli (Gregorio Magno). Tommaso ci è più utile degli altri. Perché ci mostra quale grande educatore fosse Gesù: aveva formato Tommaso alla libertà interiore, al coraggio di dissentire per seguire la propria coscienza.
Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giudei.
Una comunità chiusa, impaurita, a porte sbarrate; Tommaso no, lui va e viene, è un coraggioso (aveva esortato i suoi compagni: andiamo anche noi a morire con lui!). Lì dentro si sentiva mancare l'aria.
Abbiamo visto il Signore, qui, quando tu non c'eri, gli dicono. E lui: se non vedo con i miei occhi non vi credo.
Tommaso è un prezioso compagno di viaggio, come tutti quelli, dentro e fuori della chiesa, che vogliono vedere, vogliono toccare, con la serietà che merita la fede; tutti quelli che sono esigenti e radicali, e non si accontentano del sentito dire, ma vogliono una fede che si incida nel cuore e nella storia.
Che bello se anche nella Chiesa fossimo educati con lo stile di Gesù, che formava più alla serietà e all'approfondimento, alla libertà e al coraggio, che non all'ubbidienza. P. Vannucci esortava: non pensate pensieri già pensati da altri. Per non fare spreco dello Spirito.
Poi il momento centrale: l'incontro con il Risorto. Gesù invece di imporsi, si propone, si espone: Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco.
Gesù rispetta la sua fatica e i suoi dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del vivere. Non si scandalizza, si ripropone con le sue ferite aperte. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare, è invece qualcosa che deve restare per l'eternità, gloria e vanto di Cristo, il punto più alto, la rivelazione massima dell'amore di Dio. Nel cuore del cielo sta, per sempre, carne d'uomo ferita. Nostro alfabeto d'amore.
Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Ecco una beatitudine che sento finalmente mia, le altre le ho sempre sentite difficili, cose per pochi coraggiosi, per pochi affamati di immenso.
Finalmente una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia.
Beati voi… grazie a tutti quelli che credono senza necessità di segni, anche se hanno mille dubbi, come Tommaso. Sono quelli che se una volta potessero toccare Gesù da vicino vedere il volto, toccare il volto se una volta potranno vederlo, ma in noi, anch'essi diranno: Mio Signore e mio Dio!
P. Ermes Ronchi
Dalla fumata bianca alla prima omelia
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"Se non confessiamo Gesu' saremo solo una ONG pietosa". E' stato questo il monito lanciato da Papa Francesco nella sua prima omelia. "Quando non si cammina ci si ferma. Quando non si edifica su Gesu' si fanno, come i bambini sulla spiaggia, dei palazzi di sabbia". "Si ricordi – ha detto ancora il nuovo Papa – che a volte ci sono movimenti del cammino che non ci conducono a nulla; sono movimenti che ci fanno andare indietro".
Papa Francesco I
Dal pentimento nasce l’amore
Finisce la manna, ma non il dono di Dio che passa sempre attraverso la nostra libertà. La libertà, nel camino di fede, costa e chiede di saper non solo accogliere ma trovare il pane. Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Il cammino della Quaresima ci porta a nascere nuovamente ed è la gioia della nascita, che la liturgia celebra nella domenica Laetare. C'è gioia ogniqualvolta si nasce, e tutte le volte che si rinasce. Il figlio se ne va non per paura, per perdersi, ma per attestare la sua libertà e per rinascere. Bisogna lasciare a Dio la libertà di accoglierci e riconciliarci. Bisogna ritornare disarmati dinanzi a Lui per poter permettere alle sue braccia di stringerci. Se si rimane nella casa senza amore, si è lontani dalla casa.
Così si nasce, nel travaglio della lontananza, si rinasce nella nostalgia della casa, si diventa nuova creatura, che torna dai sentieri del prodigo.
Mons. Giuseppe Giudice
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