Pensieri in pillole
Una mini-infiorata della Chiesa di Sant’Anna
Nella nostra Chiesa, più precisamente nella Cappella dedicata dell’Adorazione, quest’anno, credo per la prima volta, abbiamo avuto la nostra piccola “infiorata” . Piccola, è vero, ma per noi grande nel significato.
L’Infiorata è una testimonianza di Fede e di Onore a Dio, ma anche di amore alle persone. In certe parti è espressione di antiche tradizioni, ma per noi qui è stata una sorpresa. Per questo c’è da dire subito che in molti ci siamo commossi sentendo riaffiorare ricordi emozionanti, ma lontani nel tempo.
Certo ben altre celebri Infiorate ornano luoghi di culto e piazze di città e paesi, e da decenni o da secoli fanno addirittura da richiamo per visitatori e turisti
Ma noi sentiamo e vogliamo doverosamente fare i complimenti a chi ha avuto l’idea e l’ha realizzata. E chissà che questa “nostra” di quest’anno non sia come un seme gettato lì per far nascere e crescere anche a Pontinia una bella tradizione!
L’ occasione è stata la festa del “Corpus Domini” che si è conclusa con la processione per le vie della nostra città.
E’ un evento “speciale”. E’ Cristo, umile ma veramente presente nell’ Ostia, che esce dalla Chiesa e cammina fra le nostre case, che percorre le nostre stesse strade, che guarda la città, la comunità, le persone, i cuori.
L’usanza di ornare le finestre ed i balconi al passaggio del Santissimo, magari con gli arredi migliori in segno di omaggio, di onore e di amore, purtroppo quest’anno non è stata rispettata. Ma c’è da dire che Pontinia è una città giovane, nella quale certe tradizioni non sono ancora radicate.
Potrebbe essere nostro compito nel prosieguo del tempo trasmettere alla nostra gioventù quelle usanze e quei valori che arricchiscono le comunità e sono segno ed augurio di fede e di amore a Dio ed alla gente.
Ci auguriamo che il prossimo anno, con la buona volontà e la collaborazione di tutti, l’infiorata di Pontinia cresca nella dimensione materiale, oltre che in quella ideale già grande. Ci auguriamo pure che la processione, oltre che affollatissima, sia ravvivata da drappi, da tovaglie ricamate ecc. che dalle finestre e dai balconi della nostra città onorino sia il Corpo di Cristo presente nell’Ostia, sia quello formato da tutti i fedeli certi delle parole del Signore: “Dove due o più sono uniti nel mio Nome Io sarò in mezzo a loro”.
Una fedele
Ciò che è del Padre è anche nostro

La gloria per Gesù, ciò di cui si vanta, la pienezza della sua missione consiste in questo: che tutto ciò che è suo sia anche nostro.
Dio gode nel mettere in comune. Ciò per cui Cristo è venuto: trasmettere se stesso e far nascere in noi tutti un Cristo iniziale e incompiuto, un germe divino incamminato.
Tutto quello che il Padre possiede è mio. Il segreto della Trinità è una circolazione di doni dentro cui è preso e compreso anche l'uomo; non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa amore, verità, intelligenza fuori di sé, oltre sé. Una casa aperta a tutti gli amici di Gesù.
La gloria di Gesù diventa la nostra: noi siamo glorificati, cioè diamo gioia a Dio e ne ricaviamo per noi godimento e pienezza, quando facciamo circolare le cose belle, buone e vere, le idee, le ricchezze, i sorrisi, l'amore, la creatività, la pace…
Nel dogma della Trinità c'è un sogno per l'umanità. Se Dio è Dio solo in questa comunione di doni, allora anche l'uomo sarà uomo solo nella comunione.
E questo contrasta con i modelli del mondo, dove ci sono tante vene strozzate che ostruiscono la circolazione della vita, e vene troppo gonfie dove la vita ristagna e provoca necrosi ai tessuti. Ci sono capitali accumulati che sottraggono vita ad altre vite; intelligenze cui non è permesso di fiorire e portare il loro contributo all'evoluzione dell'umanità; linee tracciate sulle carte geografiche che sono come lacci emostatici, e sia di qua che di là, per motivi diversi, si soffre…
Tutto circola nell'universo: pianeti e astri e sangue e fiumi e vento e uccelli migratori… È l'economia della vita, che si ammala se si ferma, che si spegne se non si dona. Come nel racconto della ospitalità di Abramo, alla querce di Mambre: arriva uno sconosciuto all'accampamento e Abramo con dolce insistenza lo forza a fermarsi e a mettersi a tavola. All'inizio è uno solo, poi senza spiegazione apparente, i personaggi sono tre.
E noi vorremmo capire se è Dio o se sono solo dei viandanti. Vorremmo distinguere ciò che non va distinto. Perché quando accogli un viandante, tu accogli un angelo, l'ha detto Gesù: ero straniero e mi avete accolto.
L'ospitalità di Abramo al Dio Viandante, Uno e Tre, ha un premio: la fecondità di Sara che sarà madre. Forse qui c'è lo scintillio di un rimedio per la nostra epoca che sta appassendo come il grembo di Sara: riprendiamo anche noi il senso dell'accoglienza e ci sarà vita nella tenda, vita nella casa.
Pontinia in festa! Prime Comunioni 2013

Le catechiste
Anna Maria, Antonella, Cristina, Laura, Lidia, Teresa
Per una nostra Pentecoste
In realtà è proprio quello IL regalo, ma è uno dei tanti che mettiamo da parte dopo un’occhiata superficiale, convinti che non serva poi a granché. Eppure a catechismo abbiamo detto che è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Forza, Conoscenza, Pietà e Riverenza verso Dio; o in maniera più simbolica che è fuoco che scalda, acqua che disseta, aria da respirare… Tutte cose buone, ma il Vangelo di Pentecoste ci aiuta semplificando: lo Spirito è l’aiuto di Dio per avere la chiarezza della gioia perfetta.
Cari ragazzi, in tutta la vostra vita incontrerete venditori di presunta gioia: l’ultima versione della playstation, un televisore HD o una bianca polverina magica per risolvere ogni problema… a volte sentirete voci opposte e dovrete scegliere: meglio oasi di piacere a buon mercato o apertura a una relazione più impegnativa? Qualche nozione appiccicata lì per avere un “pezzo di carta” o la scommessa nell’imparare per il gusto di conoscere di più e meglio? Una giostra di emozioni o la scelta consapevole per vivere e non sopravvivere?
Gesù non ha mai venduto niente: quello che aveva l’ha semplicemente regalato. I suoi consigli sono gratis, così come è gratis quella potenzialità che oggi viene ribadita da un segno: dentro di voi c’è una voce chiara e limpida che è la gioia. I suoi surrogati come l’istinto, i doveri, addirittura la felicità (che è passeggera, dura poco più di un attimo!), tendono a fuorviarci. La gioia è duratura, anche se spesso non riusciamo a rimanere in Lei. Eppure essa è veramente la voce di Dio, mansueta, attenta, limpida e liberante. Questo è il mio augurio, questa è la mia promessa d’impegno per il tempo che trascorreremo ancora insieme. Aiutarvi a vederla, a sceglierla, a costruirla.
Chiamati a lasciarci amare da Dio

Io sono un campo dove circola vento, cade pioggia di vita, scoccano dardi di sole. «Capisco che non posso fare affidamento sui pochi centesimi di amore che soli mi appartengono, non bastano per quasi nulla. Nei momenti difficili, se non ci fossi tu, Padre saldo, Figlio tenero, Spirito vitale, cosa potrei comprare con le mie monetine?» (M. Marcolini).
Proprio come continua il Vangelo oggi: e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Noi siamo il cielo di Dio, abitati da Dio intero, Padre Figlio e Spirito Santo. Un cielo trinitario è dentro di noi. Ci hanno spesso insegnato che l'incontro con il Signore era il premio per le nostre buone azioni. Il Vangelo però dice altro: se, come Zaccheo, ti lasci incontrare dal Signore, allora sarà lui a trasformarti in tutte le tue azioni.
Simone Weil usa questa delicata metafora: Le amiche della sposa non conoscono i segreti della camera nuziale, ma quando vedono l'amica diversa, gloriosa di vita nuova, con il grembo che s'inarca come una vela, allora capiscono che a trasformarla è stato l'incontro d'amore. Ci è rivolta qui una delle parole più liberanti di Gesù: il centro della fede non è ciò che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me. Al centro non stanno le mie azioni, buone o cattive, ma quelle di Dio, il Totalmente Altro che viene e mi rende altro.
Il primo posto nel Vangelo non spetta alla morale, ma alla fede, alla relazione affettuosa con Dio, allo stringersi a Lui come un bambino si stringe al petto della madre e non la vuol lasciare, perché per lui è vita.
Lo Spirito vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Una affermazione colma di bellissimi significati profetici. Due verbi: Insegnare e Ricordare. Sono i due poli entro cui soffia lo Spirito: la memoria cordiale dei grandi gesti di Gesù e l'apprendimento di nuove sillabe divine; le parole dette «in quei giorni» e le nuove conquiste della mente e dell'anima che lo Spirito induce. Colui che in principio covava le grandi acque e si librava sugli abissi, continua ancora a covare le menti e a librarsi, creatore, sugli abissi del cuore.
P. Ermes Ronchi
Maggio, il mese mariano
Carissimi,
la preziosa tradizione della nostra parrocchia, di trovarci di sera nel mese di Maggio per pregare assieme il Santo Rosario, giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, bambini e famiglie, è un’occasione bella non solo per incontrare i nostri vicini, ma anche per fare presente il “CIELO” nella nostra terra e nelle nostre famiglie.
Sempre più, magari senza accorgerci, ci troviamo coinvolti dalla fretta, dalle ansie, dalle cose da fare, e in fondo un po’ tutti sentiamo il desiderio di un po’ di sana pace e di vero coraggio in un momento così difficile.
Anche Gesù sentiva il bisogno di stare un poco in disparte con i suoi, per avere momenti intensi di tranquillità e di preghiera che Lo aiutassero per la Sua missione. Forse fu proprio in uno di questi momenti che i discepoli gli chiesero: ”Gesù, insegna anche a noi a pregare”.
Per questo, sono contento di riproporre a tutti i Pontiniesi la bella e terapeutica tradizione di ritrovarci a vivere con semplicità questi momenti serali di preghiera con Maria.
Forse nascerà anche in noi, piano piano, il desiderio di dire: “Maria, insegnaci a pregare, anzi, prega per noi e con noi… che siamo figli tuoi!”
Il Rosario, preghiera semplice, è anche una forma per “abbracciare i nostri cari che già ci hanno preceduto” e per “stare vicino e sostenere” quelli con cui viviamo.
Pregare è un’ atteggiamento interiore, ma si trasforma in forza e coraggio per la vita.
P.S. Non abbiamo paura ad invitare le persone che amiamo e che vorremmo amare. Buon Mese di Maggio.
P. Valeriano Montini
Amare l’altro con lo ‘stile’ di Gesù
Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri.
Sì, ma di quale amore? Parola così abusata, parola che a pronunciarla male brucia le labbra, dicevano i rabbini. Noi confondiamo spesso l'amore con un'emozione o un'elemosina, con un gesto di solidarietà o un momento di condivisione.
Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il brivido emozionante della scoperta dell'altro, che ti appare non più come un oggetto ma come un evento, come colui che ti dà il gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite, che ti fa nascere, con il meglio di te. Per amare devo guardare una persona con gli occhi di Dio, quando adotto il suo sguardo luminoso divento capace di scoprirne tutta la bellezza e grandezza e unicità. E da questo si sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere. Io vado dall'altro come ad una fonte, e mi disseta. Allora lo posso amare, e nell'amore l'altro diventa il mio maestro, colui che mi fa camminare per nuovi sentieri. Allo stesso modo anche i due sposi devono amarsi come due maestri, ciascuno maestro dell'altro, ciascuno messo in cammino verso orizzonti più grandi. Lasciarsi abitare dalle ricchezze dell'altro, e la vita diventa immensamente più felice e libera. Allo stesso modo anche il povero che incontro o lo straniero che bussa alla mia porta li posso guardare come fossero i «nostri signori» (san Vincenzo de Paolis), e imparare quindi a dare come faceva Gesù: non come un ricco ma come un povero che riceve, come un mendicante d'amore. E pensare davanti al povero: sono io il povero, fatto ricco di te, dei tuoi occhi accesi, della tua storia, del tuo coraggio.
Vi do un comandamento nuovo. Non si tratta di una nuova ingiunzione, ma della regola che protegge la vita umana, dove sono riassunti del destino del mondo e la sorte di ognuno: «abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene» (Maritain).
Dove sta la novità? Già nell'Antico Testamento era scritto ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso.
La novità del comando sta nella parola successiva: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Non dice quanto vi ho amato, impossibile per noi la sua misura, ma come Gesù, con il suo stile unico, con la sua eleganza gentile, con i capovolgimenti che ha portato, con la sua creatività: ha fatto cose che nessuno aveva fatto mai. I cristiani non sono quelli che amano (lo fanno in molti sotto tutte le latitudini) ma quelli che amano come Gesù: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vostri signori…
Come Lui, che non solo è amore, ma esclusivamente amore.
P.Ermes Ronchi
Pellegrinaggio a S.Rita da Cascia
Quella domanda: mi ami tu?
Gesù, maestro di umanità, usa il linguaggio semplice dell'amore, domande risuonate sulla terra infinite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di sapere: mi ami? Mi vuoi bene?
Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame; di domande e risposte che anche un bambino capisce perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni.
Il linguaggio del sacro diventa il linguaggio delle radici profonde della vita. La vera religione non è mai separata dalla vita.
Seguiamo le tre domande, sempre uguali, sempre diverse: Simone, mi ami più di tutti? Pietro risponde con un altro verbo, quello più umile dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. Anche nella seconda risposta Pietro mantiene il profilo basso di chi conosce bene il cuore dell'uomo: ti sono amico. Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo raggiunge là dov'è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l'amore è troppo; amicizia, se l'amore ti mette paura. Pietro, sei mio amico? E mi basterà, perché il tuo desiderio di amore è già amore.
Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro, la misura di Pietro diventa più importante di se stesso: l'amore vero mette il tu prima dell' io. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d'amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, e un cuore sincero.
Nell'ultimo giorno sono certo che se anche per mille volte avrò tradito, il Signore per mille volte mi chiederà soltanto questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte, soltanto questo: Ti voglio bene.
P. Ermes Ronchi
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