Nomina cardinalizia di Giuseppe Petrocchi
Latina, 20 maggio 2018
Cari confratelli e fedeli tutti,
desidero dare voce ai sentimenti di gioia e di gratitudine che sono sorti dentro di noi alla notizia della nomina cardinalizia di Mons. Giuseppe Petrocchi. La scelta di papa Francesco è un segno di singolare attenzione alla sua persona e al servizio svolto in questi anni nella martoriata arcidiocesi de L’Aquila, ma costituisce anche un riconoscimento per il ministero episcopale sviluppato per lunghi anni nella nostra Chiesa pontina. Ci sentiamo pertanto in maniera speciale partecipi della festa della Chiesa per la sua nomina, che rinnova in noi il senso di riconoscenza per l’opera pastorale svolta a Latina, dove ha lasciato una impronta profonda e duratura.
Vogliamo far giungere al cardinale eletto, insieme al nostro caloroso augurio, la preghiera per il suo ministero episcopale e per il nuovo impegno ecclesiale accanto al Santo Padre a favore della Chiesa universale, in attesa di potergli porgere personalmente il nostro carico di stima e di affetto in occasione di un incontro che ci disponiamo a preparare e realizzare.
+ Mariano Crociata
Il Vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno
Quel vento di libertà che scuote i nostri schemi
La Bibbia è un libro pieno di vento e di strade. E così sono i racconti della Pentecoste, pieni di strade che partono da Gerusalemme e di vento, leggero come un respiro e impetuoso come un uragano. Un vento che scuote la casa, la riempie e passa oltre; che porta pollini di primavera e disperde la polvere; che porta fecondità e dinamismo dentro le cose immobili, «quel vento che fa nascere i cercatori d'oro» (G. Vannucci).
Riempì la casa dove i discepoli erano insieme. Lo Spirito non si lascia sequestrare in certi luoghi che noi diciamo sacri. Ora sacra diventa la casa. La mia, la tua, e tutte le case sono il cielo di Dio. Venne d'improvviso, e sono colti di sorpresa, non erano preparati, non era programmato. Lo Spirito non sopporta schemi, è un vento di libertà, fonte di libere vite.
Apparvero lingue di fuoco che si posavano su ciascuno. Su ciascuno, nessuno escluso, nessuna distinzione da fare. Lo Spirito tocca ogni vita, le diversifica tutte, fa nascere creatori. Le lingue di fuoco si dividono e ognuna illumina una persona diversa, una interiorità irriducibile. Ognuna sposa una libertà, afferma una vocazione, rinnova una esistenza unica. Abbiamo bisogno dello Spirito, ne ha bisogno questo nostro piccolo mondo stagnante, senza slanci. Per una Chiesa che sia custode di libertà e di speranza. Lo Spirito con i suoi doni dà a ogni cristiano una genialità che gli è propria. E abbiamo bisogno estremo di discepoli geniali. Abbiamo bisogno cioè che ciascuno creda al proprio dono, alla propria unicità e che metta a servizio della vita la propria creatività e il proprio coraggio. La Chiesa come Pentecoste continua vuole il rischio, l'invenzione, la poesia creatrice, la battaglia della coscienza.
Dopo aver creato ogni uomo, Dio ne spezza la forma e la butta via. Lo Spirito ti fa unico nel tuo modo di amare, nel tuo modo di dare speranza. Unico, nel modo di consolare e di incontrare; unico, nel modo di gustare la dolcezza delle cose e la bellezza delle persone. Nessuno sa voler bene come lo sai fare tu; nessuno ha quella gioia di vivere che hai tu; e nessuno ha il dono di capire i fatti come li comprendi tu. Questa è proprio l'opera dello Spirito: quando verrà lo Spirito vi guiderà a tutta la verità. Gesù che non ha la pretesa di dire tutto, come invece troppe volte l'abbiamo noi, che ha l'umiltà di affermare: la verità è avanti, è un percorso da fare, un divenire. Ecco allora la gioia di sentire che i discepoli dello Spirito appartengono a un progetto aperto, non a un sistema chiuso, dove tutto è già prestabilito e definito. Che in Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga. E che non mancherà mai il vento al mio veliero.
P. Ermes Ronchi
Il Mistero del giorno più bello dell’anno
Ogni domenica celebriamo il mistero della morte e risurrezione di Gesù. In questa domenica lo possiamo meditare e contemplare meglio, perché nei giorni del triduo pasquale abbiamo percorso gli ultimi passi della vita di Gesù, la sua passione e morte, che con la risurrezione non rimangono uno scandalo o una follia ma diventano potenza e sapienza di Dio.
La Pasqua per noi cristiani è un mistero grande: tutta la nostra fede parte e si appoggia su di esso. Questo mistero contiene il desiderio più grande della nostra vita, quello della pienezza, dell’eternità; e al tempo stesso appare così lontano da quello che ogni giorno facciamo e vediamo.
La risurrezione è il centro dell’esperienza della fede dei primi cristiani, ma è difficile parlarne: non è una esperienza che riguarda i sensi, non è il frutto di una riflessione. Risurrezione è qualcosa che viene da Dio, è opera di Dio, e noi possiamo riconoscere questo mistero solo attraverso la fede, confidando e credendo che Dio può arrivare là dove noi non possiamo.
La Parola di Dio del giorno di Pasqua ci aiuta ad entrare nel mistero nascosto della vita più forte della morte e dei frutti che la risurrezione di Gesù porta alla nostra vita.
I discepoli il mattino dopo il sabato scoprono che il cadavere di Gesù non è più nel sepolcro. Da questa scoperta inizia un cammino che li porta piano piano ad aprirsi alla novità della risurrezione. Il vangelo di Giovanni racconta che Maria si reca da sola alla tomba (ultimo segno visibile del maestro) per piangere il dolore della sua perdita. Arrivata sul luogo trova qualcosa che non poteva neppure lontanamente prevedere: il sepolcro è aperto e vuoto. Correndo ad avvisare i discepoli dà loro l’unica spiegazione che poteva trovare: qualcuno ha rubato il cadavere. Pietro e il discepolo senza nome vanno di corsa per vedere e verificare se quello che Maria ha detto è vero. I due vedono i teli che avvolgevano il corpo di Gesù e il sudario che avvolgeva il suo capo: se qualcuno avesse rubato il cadavere non lo avrebbe di certo spogliato! L’ipotesi del furto è da escludere. Allora, quale altra spiegazione più avere quanto è successo?
La risposta viene dal discepolo senza nome, che Giovanni qualifica come “quello che Gesù amava“: al vedere quei segni egli “crede” che il maestro è risorto dalla morte.
Nel testo degli Atti (prima lettura) è l’apostolo Pietro a prendere la parola in casa del centurione Cornelio per parlare del piano di salvezza di Dio. Nel suo annuncio del Vangelo considera la risurrezione di Gesù come frutto dell’azione di Dio, che ha accompagnato Gesù per tutta la sua missione terrena, ha permesso che sperimentasse la morte e gli ha ridato la vita, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Credere alla risurrezione di Gesù significa vedere in essa il compimento del piano di salvezza di Dio per tutta l’umanità: infatti la fede in Gesù ottiene il perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio.
Paolo nel brano della lettera ai Colossesi (seconda lettura) approfondisce il senso della fede nella risurrezione: con il battesimo il cristiano entra nello stesso mistero di morte e risurrezione. Il vero significato della sua vita lo può scoprire solo a partire dal progetto di Dio, dalle ?cose di lassù?, senza cioè lasciarsi guidare dagli istinti terreni. Ma questo processo di risurrezione interiore è graduale, non accade in una sola volta, deve essere voluto e scelto liberamente da ciascuno. In questo modo, gradualmente, la risurrezione di Gesù ci rende liberi da un modo ?orizzontale? di valutare la vita e ci permette di vivere già da ora l’attesa dell’incontro definitivo.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo. Non è facile credere nella risurrezione; ci chiediamo spesso cosa significhi in concreto nella nostra vita, ci viene il dubbio che dovremmo occuparci solo di quello che vediamo e tocchiamo. Nonostante abbiamo ricevuto battesimo, pensiamo e agiamo ancora molto condizionati dalle “cose di quaggiù“. La risurrezione è il mistero di Dio che entra nella nostra carne e scava il posto per una speranza che non muore. Il giorno della nostra risurrezione è un giorno che il Signore fa. A noi è chiesto solo, come al discepolo amato, a Pietro, a Maria Maddalena, a Cornelio e tanti altri, di avere fede.
P. Gianmarco Paris
Settimana Santa 2018
25 Marzo | Dom. Delle Palme | Ore 9:00 | Ritrovo P.zza Caduti Benedizione Ulivi – Processione |
27 Marzo |
Martedi Santo |
Ore 21:00 | Celebr. PENITENZIALE per adulti |
29 Marzo | Giovedi Santo | Ore 16:00 | Celebrazione per ragazzi |
Ore 21:00 | Celebrazione della Cena del Signore | ||
30 Marzo | Venerdi Santo | Ore 15:00 | Via Crucis per ragazzi |
Ore 21:00 | Liturgia della Passione e Adorazione della Croce | ||
31 Marzo | Sabato Santo | Ore 21:00 | Solenne Veglia Pasquale |
1 Aprile | Dom. Di Pasqua | SS Messe: Ore 7:30, 9:30, 11:00, 19:00 | |
2 Aprile | Lun. Dell'Angelo | SS Messe: Ore 8:30. 11:00, 19:00 |
La vita come un chicco di grano
Vogliamo vedere Gesù. Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che è mia. La risposta di Gesù dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, sintesi umile e vitale di Gesù. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione doloristica e infelice della religione.
Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: se non muore, se muore. E pare oscurare tutto il resto, ma è il miraggio ingannevole di una lettura superficiale. Lo scopo verso cui la frase converge è “produrre“: il chicco produce molto frutto. L’accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono. Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: sembra un guscio secco, spento e inerte, in realtà è una piccola bomba di vita. Caduto in terra, il seme non marcisce e non muore, sono metafore allusive. Nella terra non sopraggiunge la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, è il dono di sé: il chicco offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l’alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente.
La seconda immagine dell’auto-presentazione di Gesù è la croce: quando sarò innalzato attirerò tutti a me. Io sono cristiano per attrazione, dalla croce erompe una forza di attrazione universale, una forza di gravità celeste: lì è l’immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso.
Con che cosa mi attira il Crocifisso? Con i miracoli? Con lo splendore di un corpo piagato? Mi attira con la più grande bellezza, quella dell’amore. Ogni gesto d’amore è sempre bello: bello è chi ami e ti ama, bellissimo è chi, uomo o Dio, ti ama fino all’estremo. Sulla croce l’arte divina di amare si offre alla contemplazione cosmica.
«A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco), a questo Dio capovolto che scompiglia le nostre immagini ancestrali, tutti i punti di riferimento con un chicco e una croce, l’umile seme e l’estremo abbassamento:
Dio ama racchiudere
il grande nel piccolo:
l’universo nell’atomo
l’albero nel seme
l’uomo nell’embrione
la farfalla nel bruco
l’eternità nell’attimo
l’amore in un cuore
se stesso in noi.
P. Ermes Ronchi
La tentazione è sempre una scelta fra due amori
La prima lettura racconta di un Dio che inventa l’arcobaleno, questo abbraccio lucente tra cielo e terra, che reinventa la comunione con ogni essere che vive in ogni carne. Questo Dio non ti lascerà mai. Tu lo puoi lasciare, ma lui no, non ti lascerà mai.
Il Vangelo di Marco non riporta, a differenza di Luca e Matteo, il contenuto delle tentazioni di Gesù, ma ci ricorda l’essenziale: e subito lo Spirito lo sospinse nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni tentato da Satana. In questo luogo simbolico Gesù gioca la partita decisiva, questione di vita o di morte. Che tipo di Messia sarà? Venuto per essere servito o per servire? Per avere, salire, comandare, o per scendere, avvicinarsi, offrire?
La tentazione è sempre una scelta tra due vite, anzi tra due amori. E, senza scegliere, non vivi. «Togliete le tentazioni e nessuno si salverà più» (Abba Antonio del deserto), perché verrebbe a mancare il grande gioco della libertà. Quello che apre tutta la sezione della legge nella Bibbia: io metto davanti a te la vita e la morte, scegli! Il primo di tutti i comandamento è un decreto di libertà: scegli! Non restare inerte, passivo, sdraiato. Ed è come una supplica che Dio stesso rivolge all’uomo: scegli, ti prego, la vita! (Dt 30,19).
Che poi significa «scegli sempre l’umano contro il disumano» (David Maria Turoldo), scegli sempre ciò che costruisce e fa crescere la vita tua e degli altri in umanità e dignità.
Dal deserto prende avvio l’annuncio di Gesù, il suo sogno di vita. La primavera, nostra e di Dio, non si lascia sgomentare da nessun deserto, da nessun abisso di pietre. Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù andò nella Galilea proclamando il Vangelo di Dio. E diceva: il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo.
Il contenuto dell’annuncio è il Vangelo di Dio. Dio come una bella notizia. Non era ovvio per niente. Non tutta la Bibbia è Vangelo; non tutta è bella, gioiosa notizia; alle volte è minaccia e giudizio, spesso è precetto e ingiunzione. Ma la caratteristica originale del rabbi di Nazaret è annunciare il Vangelo, una parola che conforta la vita: Dio si è fatto vicino, e con lui sono possibili cieli e terra nuovi.
Gesù passa e dietro di lui, sulle strade e nei villaggi, resta una scia di pollini di Vangelo, un’eco in cui vibra il sapore bello e buono della gioia: è possibile vivere meglio, un mondo come Dio lo sogna, una storia altra e quel rabbi sembra conoscerne il segreto.
Convertitevi… Come a dire: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Ed è come il movimento continuo del girasole, il suo orientarsi tenace verso la pazienza e la bellezza della luce. Verso il Dio di Gesù, e il suo volto di luce.
P. Ermes Ronchi
Una voce per gli amici del cielo
[embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=h7ei0n7PO50[/embedyt]
Commenti recenti